Phil Collins, il batterista che ha cambiato il suono degli anni ’80

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Quando si parla dei più grandi batteristi di tutti i tempi, nomi come John Bonham, Neil Peart, Buddy Rich e Keith Moon occupano spesso i primi posti.
Non a caso, la celebre rivista Rolling Stone ha eletto John Bonham (Led Zeppelin) come #1 nella sua classifica definitiva: un mostro di groove, potenza e feeling, capace di riscrivere le regole del rock.
Subito dietro, giganti come Peart (Rush), Ginger Baker (Cream), Hal Blaine, e Stewart Copeland (The Police) completano un pantheon di innovatori assoluti.

Ma accanto a questi titani, un nome merita più attenzione di quanto spesso riceva: Phil Collins.
Phil entra nei Genesis nel 1970 come batterista. In un’epoca dominata dalla complessità ritmica del rock progressivo, si distingue per la sua musicalità naturale e intelligenza ritmica.
Brani come The Cinema Show, Duke’s Travels o Los Endos sono autentiche dimostrazioni di stile: intricati ma fluidi, tecnici ma mai freddi.

Parallelamente, suona con i Brand X, band jazz-fusion in cui esprime un lato più sperimentale e virtuosistico, che non ha nulla da invidiare alla tecnica di un Bill Bruford (King Crimson, Yes) o di un Terry Bozzio (Frank Zappa).
La vera rivoluzione arriva nel 1980, quando lavora al terzo album solista di Peter Gabriel.
Durante una sessione, un errore tecnico del fonico Hugh Padgham genera un suono nuovo: riverbero pesante + noise gate, che taglia il rullante in modo netto e potente. Nasce il famigerato “gated reverb”.

Phil adotta questo suono come marchio di fabbrica, e lo incide nella storia nel brano In the Air Tonight (1981). Quel fill improvviso, secco e catartico è uno dei momenti più riconoscibili della musica moderna — al pari della doppia cassa di Bonham in Good Times Bad Times, o dei pattern complessi di Neil Peart in Tom Sawyer.
Collins non ha inventato le campionature elettroniche, ma è stato tra i primi artisti mainstream a fondere perfettamente il suono acustico e quello elettronico.
Batterie Simmons, Fairlight CMI, LinnDrum: tutti strumenti che usa per creare una nuova grammatica sonora.
Brani come Mama dei Genesis o I Don’t Care Anymore sono esempi di come il suono possa diventare drammaturgia: non solo ritmo, ma tensione emotiva.
Pochissimi musicisti nella storia possono vantare la capacità di cantare e suonare la batteria contemporaneamente, e ancor meno farlo su strutture complesse.
Collins lo fa con naturalezza, alternandosi tra voce e groove live con una padronanza assoluta. È un livello di controllo che lo pone in una categoria a parte.

Nel confronto con giganti come Bonham, Peart o Copeland, Collins si distingue non solo per la tecnica, ma per la sua capacità di creare un suono riconoscibile, qualcosa che diventa linguaggio culturale.
Se Bonham è il re del groove, e Peart il maestro della precisione, Phil Collins è il narratore sonoro: ogni colpo è un’emozione.
Il suo stile ha influenzato artisti di ogni genere, da Peter Gabriel a Kanye West, da The Weeknd a Lorde. E il suono di In the Air Tonight è stato campionato, citato e riverito per oltre 40 anni.
Phil Collins è più di un batterista: è un architetto del suono. In un’epoca dominata dai mostri sacri del rock, ha inciso il suo nome con una batteria che non colpisce solo le orecchie, ma anche l’anima.
Insieme a Bonham, Peart, Moon e gli altri, merita pienamente di stare nella lista dei più grandi di sempre, non solo per quello che ha suonato, ma per come ha cambiato per sempre il modo di ascoltare la batteria.