Turetta, 75 coltellate e nessuna crudeltà: è appello

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Filippo Turetta ha ucciso Giulia Cecchettin con 75 coltellate. L’ha seguita, aggredita, colpita con furia cieca e abbandonata come un oggetto, nascosta in sacchi della spazzatura in una zona isolata.
Ma per i giudici della Corte d’Assise di Venezia non c’è stata crudeltà. Né stalking.
Lo scorso 3 dicembre, Turetta è stato condannato all’ergastolo per l’omicidio dell’ex fidanzata, ma con una sentenza che esclude due aggravanti fondamentali, aprendo interrogativi inquietanti su come venga letta — e punita — la violenza contro le donne in Italia.
Ora la Procura di Venezia ha presentato appello, chiedendo che vengano riconosciute sia la crudeltà che lo stalking, due elementi che non possono essere considerati marginali in un delitto che è stato preceduto da settimane di ossessione, controllo e pressione psicologica.
A giorni è atteso anche il ricorso della difesa, ma è l’azione della Procura a rilanciare una domanda cruciale: cosa serve ancora per riconoscere l’evidenza?
Secondo i giudici di primo grado, Turetta non voleva infliggere sofferenze “per crudeltà”, ma ha colpito “per inesperienza e inabilità”.
Una ricostruzione che, pur descrivendo l’atrocità dell’atto, finisce per svuotarlo di significato giuridico. Le coltellate – scrivono – furono rapide, ravvicinate, non “mirate” a fare scempio. Ma davvero si può spiegare l’orrore con l’imperizia?
La stessa sentenza riconosce che l’omicidio è stato motivato da “vili e spregevoli” ragioni: l’incapacità dell’imputato di accettare la libertà di Giulia, persino nelle sue scelte quotidiane.
Eppure, lo stalking – che ha preceduto il femminicidio e che ne è stato la miccia – è stato escluso.
Dopo l’omicidio, Turetta è fuggito. Ha nascosto il corpo. Ha cancellato le prove dal suo telefono e ha evitato di fornire le password.
Secondo i giudici, non si è trattato di un gesto spinto dal rimorso, ma di un tentativo lucido di ridurre le conseguenze delle proprie azioni. E allora perché non parlare di crudeltà? Perché non riconoscere lo stalking?
La Procura chiede giustizia vera. Una giustizia che chiami le cose con il loro nome. Perché se settantacinque coltellate non bastano a definire un atto crudele, allora è l’intero sistema a dover interrogarsi su come — e se — davvero protegga le donne.