Stefano Cucchi, la verità arriva tardi ma pesa ancora

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A distanza di 16 anni dalla morte di Stefano Cucchi, il giovane romano deceduto il 22 ottobre 2009 all’ospedale Sandro Pertini, la giustizia continua a inseguire la verità.
Oggi la Corte d’Appello di Roma si è ritirata in camera di consiglio per decidere sul secondo grado del processo che vede imputati otto carabinieri, accusati di aver orchestrato un ampio e sistematico depistaggio per nascondere le responsabilità del pestaggio subito da Cucchi dopo il suo arresto.
Il processo d’Appello giunge dopo le condanne in primo grado e dopo anni di silenzi, falsità e tentativi di copertura che hanno ritardato il percorso verso la verità.
Al centro del procedimento, la “scala gerarchica” dell’Arma dei Carabinieri romana: ufficiali e sottufficiali che, secondo le accuse, falsificarono documenti e testimonianze per salvaguardare l’immagine del corpo e coprire le colpe dei colleghi.
In un lungo post sui social, Ilaria Cucchi, sorella di Stefano e oggi senatrice di Sinistra Italiana, ha espresso parole cariche di dolore ma anche di determinazione: “I vertici hanno nascosto la verità, scritto il falso e depistato le indagini per garantire l’impunità degli assassini di Stefano. Così hanno inteso garantire lo spirito di corpo”.
Affermazioni dure, che evidenziano quanto ancora pesi il senso di ingiustizia per una famiglia che ha dovuto lottare contro lo Stato stesso per ottenere verità.
La Procura di Roma, nel frattempo, ha chiesto nuove condanne per tre militari accusati di aver mentito durante il processo sui depistaggi: il maresciallo Maurizio Bertolino (4 anni e 2 mesi), il maresciallo Giuseppe Perri (3 anni e 6 mesi) e il capitano Prospero Fortunato (4 anni), quest’ultimo giudicato con rito abbreviato.
I reati contestati includono depistaggio e falsità ideologica commessa dal pubblico ufficiale.
Il pm Giovanni Musarò ha parlato di un’“attività ossessiva di depistaggio” durata oltre un decennio, tra il 2009 e il 2021.
“Spero che questa sia l’ultima puntata di una saga durata 15 anni”, ha dichiarato durante la requisitoria, evidenziando la gravità e la tenacia con cui sono stati portati avanti i tentativi di insabbiare i fatti.
Mentre alcuni agenti della Polizia Penitenziaria – inizialmente accusati ingiustamente – hanno revocato la costituzione di parte civile, probabilmente a seguito di accordi extragiudiziali, resta il dato politico e simbolico: anche se molti reati sono ormai prescritti, la condanna morale rimane.
Come ricorda Ilaria Cucchi, “non potranno più indossare la divisa, né fare carriera”.
Un’amara vittoria, ma anche una lezione indelebile per lo Stato di diritto.