Leoncavallo, una storia che finisce: Emis Killa e Fedez contro lo sgombero del centro sociale

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Lo sgombero del Leoncavallo, avvenuto giovedì 21 agosto a Milano, ha scosso profondamente non solo gli attivisti e i frequentatori abituali, ma anche figure di spicco del panorama musicale italiano, come i rapper Emis Killa e Fedez.
Le loro reazioni sui social media hanno acceso un dibattito su cosa rappresentino i centri sociali e sul ruolo che hanno avuto nella cultura e nella storia di una città come Milano.
Emis Killa, in una storia su Instagram, ha espresso un dolore personale, definendo lo sgombero “la morte di un pezzo della mia storia”.
Non ha voluto fare una disamina politica, ma ha preferito concentrarsi sull’aspetto morale e umano.
Per lui, e per molti altri della sua generazione, il Leoncavallo è stato un luogo di formazione, un “crogiolo” dove si è forgiata la propria identità artistica e personale.
Ha parlato di aggregazione, arte e rispetto per il prossimo, valori che, a suo dire, sono stati coltivati in quel luogo. La sua critica si è rivolta direttamente allo Stato, accusato di aver agito con una decisione drastica contro un’icona di Milano che ha resistito per oltre trent’anni.
Pur riconoscendo la legittimità di chi non condivide il suo pensiero, ha ribadito la sua posizione di parte, legata indissolubilmente al significato che il centro sociale ha avuto per il suo percorso.
La sua testimonianza non è isolata: sono in molti ad aver calcato quel palco, da J-Ax a Marracash, confermando il ruolo cruciale del Leoncavallo come piattaforma per la musica hip hop e non solo.
Anche Fedez ha voluto dire la sua, con un commento più sintetico ma altrettanto incisivo.
Condividendo una foto del centro sociale, ha parlato di una “città svuotata di tutto, anche della sua stessa identità”. Una critica che va oltre il singolo sgombero e tocca la percezione di una Milano che, nel suo splendore apparente, sembra perdere la sua anima più autentica e ribelle, quella che ha dato vita a movimenti culturali e sociali.
Il suo commento, seppur breve, ha fatto eco a un sentimento diffuso tra coloro che vedono nei centri sociali non solo luoghi di occupazione, ma anche spazi di libertà e di espressione.
Il contesto dello sgombero e la posizione del governo
Lo sgombero del Leoncavallo, che per 31 anni ha occupato un immobile in via Watteau a Milano, è stato un’operazione complessa.
Sebbene la notifica di sfratto fosse prevista per il 9 settembre, l’intervento è stato anticipato, con l’arrivo della polizia e dell’ufficiale giudiziario.
Si tratta di un’azione che rientra in una linea più ampia del governo, decisa a contrastare le occupazioni abusive di immobili, sia pubblici che privati.
Il ministro della Cultura, Alessandro Giuli, ha espresso la posizione del governo, definendola “la più ragionevole”. Ha ribadito che non ci devono essere “spazi di illegalità e incubatori di violenza”, un principio che deve valere per tutti.
La sua dichiarazione ha però suscitato polemiche per la distinzione fatta riguardo a CasaPound.
Quando gli è stato chiesto specificamente se anche la sede romana di CasaPound dovesse essere sgomberata, il ministro ha risposto negativamente, “nella misura in cui CasaPound si allinea a dei criteri di legalità”.
Una risposta che ha alimentato il dibattito su presunti doppi standard e ha sollevato interrogativi sulla selettività degli interventi.
Il caso del Leoncavallo non è un unicum. A quanto si apprende, la “galassia delle occupazioni abusive” in Italia è ancora molto estesa, con almeno 126 immobili di area anarco-antagonista occupati in diverse regioni, con una concentrazione maggiore a Roma e in Lombardia.
A questi si aggiungono le due occupazioni riconducibili all’estrema destra, ovvero CasaPound a Roma e Spazio Libero Cervantes a Catania.
Il ministro dell’Interno, Matteo Piantedosi, ha dimostrato un’attenzione particolare verso le occupazioni, chiedendo un censimento di chi vi risiede, in particolare per CasaPound e per lo Spin Time, un’altra occupazione a Roma.
L’obiettivo del censimento è spesso quello di individuare persone in situazioni di vulnerabilità e ricollocarle, ma non si esclude che il dossier possa portare a nuove azioni.
La linea del governo, espressa in una direttiva di Piantedosi, prevede lo sgombero immediato di ogni nuova occupazione per prevenire il radicamento di queste realtà.
Oltre lo sgombero: il ruolo dei centri sociali
Lo sgombero del Leoncavallo ha riacceso i riflettori sul ruolo e sul significato dei centri sociali. Per molti, sono avamposti di cultura e controcultura, luoghi di incontro e di espressione artistica che sfuggono alle logiche commerciali.
Per altri, rappresentano l’illegalità e l’abusivismo, un’anomalia in un contesto urbano che richiede ordine e rispetto delle leggi.
Le parole di Emis Killa e Fedez si inseriscono in questa dicotomia, offrendo una prospettiva che va oltre la semplice legalità.
Hanno parlato di identità, cultura e memoria. La loro testimonianza ricorda che, al di là delle questioni burocratiche e giudiziarie, questi luoghi sono stati fondamentali per la crescita di intere generazioni, fungendo da incubatori di creatività e di pensiero critico.
Lo sgombero del Leoncavallo non è solo la chiusura di un edificio, ma, per molti, la fine di un’epoca e la perdita di un punto di riferimento che ha plasmato la storia recente di Milano.