Achille Costacurta, la diagnosi Adhd, la droga, il Tso, il tentato suicidio, il rapporto con i genitori, i sogni per il futuro
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Qualche giorno fa avevamo scritto circa il ritrovato rapporto di Achille Costacurta con mamma Martina Colombari e papà Alessandro ‘Billy’ Costacurta. Era stato proprio il giovane a raccontare il proprio percorso di risalita, dichiarando di aver dismesso l’assunzione di qualsiasi tipo di droga, di essersi trasferito in Sicilia e di sentirsi bene. A conferma di tutto ciò, Martina Colombari aveva pubblicato una dedica di Achille, una foto di lui bambino in braccio a lei.
Nelle ultime ore Achille Costacurta è stato ospite del podcast “One More Time” condotto da Luca Casadei. Nella puntata, il giovane ha parlato della sua adolescenza inquieta, contraddistinta dagli eccessi e da comportamenti sopra le righe, che gli sono costati anche la detenzione per presunto possesso e spaccio di droga, TSO, la diagnosi di ADHD e infine il tentativo di suicidio. Achille ha ribadito il ritrovato rapporto con i genitori dopo un periodo difficile, che non hanno mai mancato di fargli sentire il loro appoggio. Insomma, la volontà di allontanarsi da un vortice che ha rischiato di inghiottirlo e distruggerlo e il desiderio di riprendere in mano la propria vita. Di seguito alcuni passaggi importanti dell’intervista.

L’intervista di Achille Costacurta
La diagnosi di ADHD avuta a maggio 2025 – Achille ha raccontato la scoperta dell’ADHD, un disturbo dell’attenzione che lo ha accompagnato praticamente da sempre: “In terza media non mi ammettono all’esame per il comportamento. Al liceo dopo 3 mesi mi sbattono fuori. Non mi avevano ancora diagnosticato l’ADHD, lo scopro a maggio dell’anno scorso perché andando in questa clinica in Svizzera, dopo aver esagerato con le sostanze, loro avevano già capito tutto senza farmi fare i test: ‘tu ti volevi auto curare con la droga’.
Il fatto che ho la fissa con il numero 5 e col numero 9, ho 500 progetti in testa che voglio fare. Il mio cervello non produce abbastanza dopamina. Io adesso prendo il Ritalin, nel primo mese che l’ho preso leggevo un libro in due, tre ore, scrivevo 40/50 pagine al computer in tre ore, robe che non riuscivo a fare prima. Da quando i miei genitori hanno fatto anche loro un corso genitoriale per l’ADHD, il nostro rapporto è cambiato da così a così. Prima in casa quando litigavamo, io andavo fuori, spaccavo porte. Da lì non è mai più successo perché loro ora sanno come dirmi un “no””.
La droga e il TSO – Il giovane ha raccontato il suo passato tra droga e TSO e quando a Milano lo hanno legato a letto per tre giorni: “Ho iniziato a fumare a 13 anni. Al compleanno dei miei 18 anni ho provato la mescalina. Una volta ho avuto una colluttazione con la polizia. Ero sotto effetto e ho fatto il matto su un taxi. Il poliziotto arriva, mi tira un pugno in faccia, io ero allucinato quindi l’ho spaccato di legnate. Lì dopo poco mi fanno il primo TSO, me ne hanno fatti 7.
Il problema era che, quando me l’hanno fatto a Padova, perfetti, gentilissimi, a Milano mi hanno legato al letto per tre giorni perché gli ho dato un colpo sulla spalla. Urlavo che mi serviva il pappagallo, io ero legato, mani e piedi, tutto, e mi dovevo fare la pipì addosso. Quando sono andato in clinica in Svizzera mi hanno detto: “se fossi stato fuori altri 10 giorni saresti morto” perché hai il cuore a riposo a 150 battiti.
La Svizzera da così a così, ti dicono: ‘Tu sei qua e puoi scegliere, se ti vuoi drogare c’è la strada, puoi andare e puoi fare quello che vuoi, vai. Se tu invece hai bisogno di una mano, vieni qua e noi ti aiutiamo’. Mi hanno fatto cambiar vita, grazie a loro io non mi drogo più. Il loro approccio ti fa capire veramente le cose importanti. Li ringrazierò per tutta la vita”.
Il tentato suicidio – Il 21enne ha raccontato il momento più basso, quando la disperazione lo ha portato a tentare il suicidio: “Ho iniziato a spacciare fumo. Arrivata la quarantena, tutti chiusi in casa, fumo non ce n’è. A me riusciva ad arrivare comunque tramite dei canali, avevo creato una rete e mi hanno arrestato a 15 anni e mezzo. Quindi faccio il mio primo compleanno dei 16 anni lì, centro penale comunità terapeutica. Non ce la facevo più, aspetto la notte quando c’è un solo operatore ed entro in ufficio, lo distraggo e prendo le chiavi dell’infermeria.
Lo chiudo dentro l’ufficio, lui con le sue chiavi riesce a uscire. Io però nel frattempo ero già in infermeria e prendo tutto il metadone che c’era, sette boccettine, mi chiudo in bagno e le bevo tutte, volevo suicidarmi. Arrivano i pompieri e sfondano la porta, poi l’ambulanza. Nessun medico ha saputo dirmi come io sia ancora vivo perché l’equivalente di sette boccettine di metadone sono sui 35, 42 grammi di eroina. La gente muore con un grammo”
Il rapporto con i genitori – Achille ha parlato della sofferenza dei suoi genitori, Billy e Martina, e delle loro lacrime nel non riuscire ad aiutarlo nonostante i loro sforzi: “Mia mamma ha pianto tanto. Mio papà l’unica volta che gli ho visto scendere una lacrima è stato quando mi hanno proprio portato via. Quando mi avevano fatto il depot, io tutti i giorni chiedevo di andare a fare l’eutanasia perché non avevo più emozioni e volevo morire. E lì l’ho visto piangere.
Il giorno che esco dalla clinica mi viene a prendere mio papà. C’era un doppio arcobaleno. Io lì scoppio a piangere dalla gioia, dalla felicità, abbraccio fortissimo mio papà e gli dico: ‘hai visto che ce l’abbiamo fatta, ho smesso, e ce la farò e continuerò. Ce lo sta dicendo pure il cielo. C’è il doppio arcobaleno ti rendi conto?’. È stato uno dei momenti più fighi. Anzi, dopo chiamerò mio padre per ricordarglielo”
I sogni per il futuro – Infine i progetti e i sogni per il futuro: “Sono fiero di me, del fatto che sono riuscito ad avere una certa consapevolezza. Tutti i miei traumi sono riuscito a buttarli giù. Non ho filtri, non mi vergogno di quello che mi è successo perché alla fine sono una persona normale. Ho imparato a non dimenticare quei traumi ma a farne tesoro. Avendo provato gli eccessi, ora ci sono poche cose che mi fanno veramente felice.
Perché le sostanze stupefacenti ti fanno provare queste emozioni che non ritrovi. L’unica cosa che mi fa avere le farfalle nello stomaco come l’amore sono i ragazzi con la sindrome di down. Perché non l’hanno scelto loro. Non è una persona che si è drogata e adesso è in mezzo alla strada. È una persona che non ha scelto di nascere così. Io li devo aiutare. È una delle poche cose che mi fa essere troppo felice.
Il mio obiettivo è creare centri con i miei ideali, con i cavalli per fare ippoterapia, viaggi che voglio far fare, day hospital che voglio creare, devono essere davanti al mare, ogni ragazzo deve avere il suo labrador che lo porta a fare il bagno, farli venire anche dall’Africa perché nella religione vudù se sei albino, se sei autistico, se sei down ti ammazzano”.
Intervista integrale audio dal 31 ottobre su su OnePodcast e su tutte le piattaforme streaming e da martedì 4 novembre in versione video su Spotify e YouTube

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