Bono: “Lascio l’attivismo per tornare alla musica”

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Nel documentario Bono: Stories of Surrender, in anteprima al Festival di Cannes e disponibile su Apple TV+ dal 30 maggio, il leader degli U2 si mette a nudo, letteralmente e metaforicamente.
A partire dal racconto di un momento che ha segnato un prima e un dopo nella sua vita: un’operazione a cuore aperto d’urgenza nel dicembre 2016.
“È stato Edge a dire che trattavo il mio corpo come un inconveniente”, ha raccontato Bono in una lunga intervista a The Observer. “Ma dopo quell’intervento, ho capito che dovevo iniziare ad avere rispetto per me stesso.”
Seduto nel giardino della sua casa di Killiney, con la baia di Dublino sullo sfondo, Bono appare riflessivo e più vulnerabile del solito.
Il film – tratto dal suo memoir del 2022 Surrender: 40 Songs, One Story e dallo spettacolo teatrale omonimo – è insieme un’opera autobiografica e una resa dei conti con il passato.

Non solo l’infanzia segnata dalla perdita precoce della madre, ma anche il rapporto difficile con il padre e i primi anni degli U2 nella periferia nord di Dublino, tra rabbia giovanile e sogni punk condivisi con Gavin Friday.
Questa introspezione lo ha portato a rivedere le priorità. Dopo vent’anni di impegno a fianco di leader globali per ridurre il debito africano e garantire l’accesso ai farmaci anti-HIV, Bono ha lasciato in silenzio, alla fine del 2023, il consiglio direttivo di ONE, l’organizzazione che aveva co-fondato.
“Non credo si possa smettere davvero di essere un attivista”, ha detto al The Observer. “Ma non sono più sicuro che le conversazioni tra punti di vista opposti siano qualcosa che io possa continuare ad arbitrare. Ora è tempo di tornare alla mia prima vocazione: la musica.”
Eppure, riconosce che la doppia vita tra rockstar e attivista ha avuto un costo.

“Avrei potuto perdere la band”, ammette. “Potrei andare nella tomba sapendo di aver sacrificato una canzone degli U2 perché ero da un’altra parte, quando era lì, quasi pronta.”
A chi lo accusa di compromessi e incoerenze, risponde con i numeri: 26 milioni di vite salvate grazie all’impegno del Pepfar, il piano americano contro l’AIDS, lanciato da George W. Bush anche grazie alle sue pressioni.
Ma oggi, dopo la stretta imposta da Donald Trump su USAID e Pepfar, la sua frustrazione è palpabile. “Non riconosco più il GOP. Smantellare quei programmi non è solo insensato. È omicida.”
Sul fronte più personale, Bono si confronta anche con il passaggio generazionale.
Suo figlio Elijah è oggi il cantante degli Inhaler, band rock molto apprezzata. “Esporsi ti espone anche al giudizio, alla crudeltà. Io ho sofferto per questo. Non voglio che accada ai miei figli.”
Quanto agli U2, ammette che negli ultimi anni si sono guardati indietro, forse troppo: The Joshua Tree, Achtung Baby, la lunga residenza allo Sphere di Las Vegas.

“Siamo stati coinvolti nella nostalgia”, dice. “Ma ora dobbiamo scrivere un’altra ragione per esistere come band.”
La nuova musica è già in cantiere, ancora una volta con lo storico collaboratore Brian Eno: “La nostra arte è più interessante di noi stessi. Sento che ho distratto dalla grandezza della band. Ora voglio rimettermi al servizio di quella grandezza”.
Mentre riflette sulla possibilità che suo padre, uomo di poche ambizioni ma grande umanità, avesse forse più ragione di lui, Bono sembra pronto a una nuova fase. “Penso di aver realizzato un bel film, e che sia giusto dare sfogo alle emozioni – se lo si fa con un po’ di umorismo e umiltà. L’umiltà”, sorride, “è nel post”.
