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La Svizzera si prepara a ospitare l’Eurovision Song Contest per la prima volta dal 1989. L’evento, che si svolgerà a Basilea, arriva in un momento di forti tensioni politiche e sociali, soprattutto legate alla partecipazione di Israele e alle questioni dei diritti LGBTQ+.
Nonostante lo slogan ufficiale dell’evento, “Uniti dalla musica”, l’edizione di quest’anno è già al centro di un acceso dibattito pubblico.
Una delle principali controversie riguarda la presenza di Israele nel concorso. A rappresentare il Paese sarà Yuval Raphael, sopravvissuta all’attacco di Hamas del 7 ottobre 2023, in cui sono morte 1.200 persone.
Tuttavia, la risposta militare israeliana a Gaza, che secondo le autorità sanitarie locali ha provocato oltre 50.000 vittime palestinesi, ha sollevato forti critiche.
Funzionari di vari Paesi, tra cui Spagna, Slovenia, Islanda e Finlandia, si sono chiesti se Israele debba essere autorizzato a partecipare alla manifestazione.
Anche organizzazioni palestinesi e gruppi per i diritti umani in Svizzera si sono espressi contro la sua presenza, accusando l’Unione europea di radiodiffusione (EBU) di adottare doppi standard.
“La Russia è stata esclusa per l’invasione dell’Ucraina, mentre Israele continua a partecipare nonostante le gravi violazioni umanitarie”, ha dichiarato Geri Mueller, presidente dell’Associazione Svizzera-Palestina.
L’EBU ha risposto alle critiche precisando che Israele è rappresentato da KAN, la sua emittente pubblica, e non direttamente dal governo.
Tuttavia, la tensione resta alta. La sicurezza dell’evento è stata notevolmente rafforzata: 1.300 agenti di polizia, specialisti dell’esercito e esperti informatici garantiranno l’ordine pubblico durante lo svolgimento del concorso.
Un altro tema caldo è quello dei diritti LGBTQ+.
Tradizionalmente, Eurovision è uno spazio celebrativo per la comunità queer, ma quest’anno sono state introdotte nuove linee guida che limitano l’uso delle bandiere sul palco e nella green room a una sola bandiera nazionale.
Di fatto, questo esclude la visibilità delle bandiere Pride e non binarie in quei contesti, anche se saranno consentite nelle aree pubbliche. La decisione ha suscitato reazioni negative da parte di organizzazioni come Pink Cross, che ha definito il divieto “uno schiaffo in faccia” alla comunità LGBTQ+.
Il direttore dell’Eurovision, Martin Green, ha spiegato che le regole servono a garantire “chiarezza ed equilibrio” e ha sottolineato che l’essenza inclusiva dell’evento non ha bisogno di simboli visivi per essere riconosciuta: “Basta guardare lo spettacolo, ascoltare le canzoni, vedere chi partecipa.”
Il concorso ha visto negli ultimi anni una rinascita in popolarità, anche grazie al forte sostegno dei fan LGBTQ+. Un segnale di questo rinnovamento è la vittoria del 2024, andata a Nemo, artista svizzero non binario, con il brano The Code, che racconta il percorso di scoperta della propria identità di genere.

Nonostante ciò, l’evento è finito anche nel mirino dell’Unione Democratica Federale (EDU), partito conservatore svizzero che ha tentato, senza successo, di bloccare i finanziamenti pubblici.
L’EDU accusa Eurovision di promuovere un’“agenda woke” e di allontanarsi dai valori tradizionali, criticando la visibilità delle tematiche queer e transgender.
Mentre Basilea si prepara ad accogliere centinaia di artisti e milioni di spettatori, l’Eurovision 2025 si configura come un evento non solo musicale, ma anche profondamente politico e culturale. In bilico tra spettacolo, inclusione e controversie, resta da vedere se riuscirà davvero a unire attraverso la musica.