Fabio Fognini saluta il tennis tra lacrime e applausi

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Fabio Fognini ha scelto il tempio del tennis per dire addio. Lo ha fatto a modo suo, dopo un’ultima battaglia epica, al primo turno contro Carlos Alcaraz, durata cinque set e cinque ore.
Un addio non pianificato, ma profondamente simbolico: sull’erba che un tempo detestava, nel torneo che in passato aveva persino maledetto. E invece, proprio Wimbledon gli ha regalato un finale degno, forse inatteso, sicuramente meritato.
“È il momento giusto per lasciare”, ha detto con voce rotta, gli occhi lucidi, consapevole che questo cerchio della vita – e del tennis – si è chiuso esattamente dove doveva.
A 38 anni, con vent’anni di carriera alle spalle, Fognini lascia dopo aver attraversato tutte le fasi dell’essere un tennista professionista: il talento esplosivo, gli alti vertiginosi, i bassi dolorosi, i troppi infortuni, le polemiche mai taciute, le racchette spaccate, ma anche le imprese memorabili.
“Ho sempre detto quello che pensavo, non piace a tutti, ma sono fatto così”, ha ricordato con un sorriso sornione. E in effetti, Fognini è stato per anni il volto più autentico, controverso e viscerale del tennis italiano.
Un uomo capace di battere Nadal all’US Open, di vincere un Masters 1000 a Montecarlo, di arrivare nei primi 10 del mondo, ma anche di perdersi tra sfuriate, squalifiche e tensioni, come quella con il c.t. Volandri che ha segnato l’epilogo della sua esperienza in Davis.
“Mi dispiace non aver mai vinto la Coppa Davis”, ha ammesso, senza però entrare nei dettagli.
L’amarezza è ancora troppo viva. Ma ha voluto comunque sottolineare l’importanza di quel legame con l’azzurro che – nonostante tutto – resta parte fondamentale della sua identità sportiva.
Adesso Fognini cambia ruolo. Il suo futuro è già iniziato, e passa dal giovane talento Flavio Cobolli, di cui è manager.
“Sono venuto a Wimbledon solo per tifare Cobolli contro Djokovic”, ha detto sorridendo. L’ironia non manca mai, ma dietro c’è un senso di passaggio del testimone chiaro: il ribelle lascia il campo, ma resta nel gioco.
L’estate sarà con la famiglia, con i figli e con la moglie Flavia Pennetta, anche lei ex campionessa.
Dopo una vita vissuta intensamente sui campi di tutto il mondo, ora Fabio vuole semplicemente respirare. Ma il tennis lo ritroverà: in tribuna, dietro le quinte, forse un giorno anche in panchina.
“Ho fatto questo lavoro per vent’anni, non so fare altro”, ha detto. La verità è che, nel bene e nel male, Fognini è stato molto più di un tennista. È stato un personaggio. Un uomo che ha diviso, emozionato, lottato e lasciato un segno profondo. Ed è così che va ricordato.