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Genova, la sindaca Silvia Salis è subito intervenuta nella vicenda di 15 agenti della polizia municipale, 11 uomini e 4 donne, accusati di presunte violenze e abusi su persone fermate e perquisite, a quanto pare a volte neanche a giusto titolo. La sindaca sull’argomento è stata perentoria: “Oggi non sono in discussione i nuclei o i numeri ma il clima, la questione non è agire sulla struttura ma sul messaggio e sull’atteggiamento da tenere, deve essere chiaro che determinate cose non si devono fare”
Dalle parole la prima cittadina è passata subito ai fatti e nella giornata di mercoledì 18 giugno, ha collocato “in ferie” il comandante della polizia locale Gianluca Giurato, indagato per rivelazione di segreti d’ufficio, e ottenuto il trasferimento dei quindici agenti di polizia municipale, indagati per vari reati tra i quali lesioni, peculato e falso ideologico, a mansioni non operative.
Il provvedimento è divenuto operativo nel giro di ventiquattrore e nel caso i soggetti in questione fossero sottoposti a misura cautelare o ne venisse chiesto il rinvio a giudizio, il Comune di Genova potrebbe chiederne la sospensione se non addirittura il licenziamento. Per ora in via cautelativa il provvedimento immediato è stato quello di toglierli dalla strada.
La pm Sabrina Monteverde: “Gli indagati facevano uso improprio dello sfollagente, uso spregiudicato della violenza ponendo in essere condotte minacciose e gravemente offensive di persone che vivono ai margini della società”
Per la pm Sabrina Monteverde, titolare dell’indagine, i quindici indagati ponevano in essere una condotta vessatoria e persecutoria nei confronti di persone poco abbienti e indifese, facendo un uso improprio anche dei mezzi a loro disposizione, quali gli sfollagente: “Facevano uso spregiudicato della violenza, anche con lo sfollagente e ponevano in essere condotte minacciose e gravemente offensive di persone che vivono ai margini della società”.
Dall’inchiesta della magistratura è emerso che ai quindici indagati vengono contestati almeno sei episodi di abusi a vario titolo, tra l’altro gli accusati riversavano messaggi denigratori verso i malcapitati in una chat condivisa, nella quale si definivano “Quei bravi ragazzi” termine che dava anche il titolo alla chat. I quindici, sempre secondo l’indagine, erano adusi provocare la persona fermata, sussurrando offese all’orecchio per suscitarne la reazione e avere il pretesto per poter procedere all’arresto per resistenza a pubblico ufficiale.
Le testimonianze di due vigilesse
Fondamentali per l’avvio delle indagini le testimonianze di due vigilesse. Le due agenti parlando di un caso specifico in cui erano presenti, hanno raccontato ai poliziotti del comportamento non conforme dei colleghi indagati, raccontando pestaggi perpetrati dai medesimi cominciati dentro una macchina di ordinanza e poi continuati nei bagni degli uffici. Ma anche furti di soldi e piccole quantità di droga durante le perquisizioni, usati poi durante altri fermi per “incastrare” i malcapitati.
All’inizio le due vigilesse si erano rivolte all’ex assessore Gambino per denunciare il comportamento dei quindici vigili, ne era sortita una indagine interna condotta dal comandante Gianluca Giurato e da Emiliano Anania, capo della sezione investigativa dei vigili che non aveva portato ad alcun provvedimento per i responsabili degli abusi se non una informativa in Procura. E’ stata quest’ultima che ha voluto approfondire la questione e ha incaricato la squadra mobile di andare a fondo, da qui le perquisizioni di martedì 17 giugno dalle quali, dal sequestro dei telefoni degli indagati, sono emersi particolari inquietanti.
Gli inquirenti sono entrati in possesso di alcune chat nelle quali una delle agenti indagate si vanta di aver sottratto 1200 euro nel corso di uno sgombero rassicurando i colleghi di aver acceso la bodycam solo dopo aver intascato abusivamente la somma, “in caso di denuncia non corriamo rischi” scrive. Nella stessa chat un altro dei quindici si preoccupa: “Il problema è che con questo giochino ne abbiamo commessi di reati”
Nelle chat acquisite, episodi di abusi e pestaggi
Dalla acquisizione delle chat gli agenti che stanno conducendo le immagini, hanno trovato riscontri dei pestaggi che avevano già verbalizzato nelle deposizioni delle testimoni oculari e attraverso le audizioni delle persone offese. Tra gli episodi oggetto di indagine, uno ricostruito grazie alla testimonianza di una delle vigilesse che hanno fatto partire l’inchiesta. La vigilessa era presente la sera del 5 ottobre 2024 in Via Mura degli Zingari quando era stata controllata un’auto senza assicurazione all’interno della quale stava dormendo una coppia di italiani.
Secondo il racconto della vigilessa testimone, l’uomo della coppia sarebbe stato afferrato da uno degli agenti indagati che dopo averlo schiaffeggiato gli avrebbe infilato in tasca 0,26 grammi di hashish urlandogli: “Sei uno scarto della società, non servi a un c… Ti va bene che non eri nella mia macchina perché ti avrei ammazzato di botte” L’uomo oggetto della perquisizione si era messo a urlare dicendo che quella roba non era sua e che era aduso consumare solo crack, aggiungendo: “Menomale che voi siete la polizia”.
La vigilessa durante la sua deposizione ha raccontato alla pm di essersi “vergognata” in quella occasione, “mi sono vergognata della mia appartenenza al corpo della polizia locale”. L’episodio è stato suffragato dal racconto dei protagonisti nella chat. Uno degli indagati scrive: “Pulizia in via Mura degli Zingari” il tutto condito da un selfie col commento “sciarpa di verbali”, in cui si vanta del numero di sanzioni comminate.
A seguire, nella stessa chat, un altro degli indagati commenta: “Sussurri”, secondo l’accusa il riferimento è all’abitudine dei quindici di sussurrare minacce all’orecchio per suscitare reazioni. La conversazione continua con un ulteriore commento dispregiativo: “Il ragazzo aveva finito i flare per cui è stato preso in pieno”. I flare a cui si fa riferimento sono falsi bersagli impiegati come contromisura dai velivoli in procinto di essere colpiti da missili. Nel frattempo, dieci dei quindici indagati, tramite i loro legali, hanno fatto ricorso al Tribunale del Riesame per chiedere il dissequestro dei telefoni.
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