Giudizi Universali: il capolavoro fragile di Samuele Bersani

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Nel panorama della canzone d’autore italiana, poche canzoni sono riuscite a entrare nel cuore del pubblico con la delicatezza e la profondità di Giudizi Universali di Samuele Bersani.
Pubblicata il 23 maggio 1997, come secondo singolo dell’album omonimo Samuele Bersani, questa ballata malinconica è diventata negli anni una delle sue opere più amate e citate.
È una canzone che non insegue mode ma si ritaglia un posto permanente nel cuore di chi l’ascolta.
Fin dalla sua uscita, Giudizi Universali è stata accolta con entusiasmo dalla critica e dal pubblico, diventando nel tempo un classico della canzone d’autore contemporanea.
Non a caso, nel 1998 ha ricevuto il Premio Lunezia per il “miglior testo letterario”, riconoscimento che valorizza l’aspetto poetico della canzone italiana.
Un testo che tocca il cuore (e la mente)
Il brano affronta con rara delicatezza il tema della fine di una relazione amorosa, ma lo fa evitando cliché e sentimentalismi. Bersani riflette con lucidità e malinconia su ciò che resta dopo che l’amore si è consumato.
“Troppo cerebrale per capire che si può star bene senza complicare il pane…”
Questa frase iniziale è quasi una dichiarazione di poetica: la semplicità come valore perduto, la mente che ostacola la felicità. Il pane, simbolo del quotidiano, diventa metafora di una vita che si complica inutilmente. La canzone è disseminata di immagini poetiche e suggestive, come:
“Mangiati le bolle di sapone intorno al mondo…”
Qui, la leggerezza infantile delle bolle di sapone si scontra con la pesantezza della disillusione. Bersani non accusa, non si lamenta: osserva e racconta.
L’eleganza della forma
Musicalmente, il brano è un gioiello di equilibrio. Un arpeggio di pianoforte apre il pezzo con delicatezza, accompagnato da archi che accentuano la malinconia senza mai scadere nel patetico.
La voce di Bersani, mai forzata, scivola dolcemente sulle parole, lasciando spazio all’ascoltatore per sentire, pensare, ricordare.
“Leggera leggera si bagna la fiamma, rimane la cera e non ci sei più…”
Questa immagine struggente racconta meglio di mille spiegazioni la fine di un amore: la fiamma che si spegne, la cera che resta. È il residuo fisico della passione, ciò che rimane quando tutto il resto è svanito.
Il ritornello, divenuto celebre, riassume con precisione chirurgica il senso di disillusione:
“Potrei ma non voglio fidarmi di te, io non ti conosco e in fondo non c’è in ciò che dici qualcosa che pensi…”
È il punto di rottura definitivo, dove il protagonista riconosce che la persona amata è diventata un’estranea. Ma anche qui, nessuna rabbia: solo consapevolezza.
Un’eredità che attraversa le generazioni
Negli anni, Giudizi Universali è stata riscoperta da più generazioni.
È stata reinterpretata da Einar nel 2018 ad Amici, e poi portata sul palco del Festival di Sanremo 2021 da Willie Peyote, che ha voluto condividerla con lo stesso Bersani in una performance toccante.
In entrambi i casi, il brano ha saputo parlare a un pubblico nuovo, dimostrando la sua straordinaria attualità.
Inoltre, la canzone è stata inserita nella colonna sonora di film amati come Chiedimi se sono felice di Aldo, Giovanni e Giacomo, e Fuochi d’artificio di Leonardo Pieraccioni. Questo ulteriore riconoscimento ne ha sancito il valore anche a livello narrativo e cinematografico.
Una lezione di umanità
A quasi trent’anni dalla sua uscita, Giudizi Universali resta una delle più belle lezioni di umanità, fragilità e bellezza poetica mai scritte in musica.
Samuele Bersani è riuscito a raccontare ciò che spesso si fatica a dire: che l’amore finisce, sì, ma può lasciare spazio alla riflessione, alla crescita, e, perché no, a un giudizio universale… che non giudica.
È proprio questa sospensione del giudizio, questa accettazione dell’ambiguità emotiva, a rendere il brano così universale. Bersani non offre soluzioni, ma uno specchio in cui ciascuno può ritrovare una parte di sé.