Haim: ‘I Quit’ è il caos emozionale che aspettavamo

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Le Haim sono tornate, e stavolta non ci stanno più. Con I Quit, il loro quarto album in studio, Alana, Danielle ed Este Haim abbandonano ogni illusione giovanile per esplorare il lato più cupo, doloroso e maturo delle relazioni – quelle che ti definiscono e ti logorano, che ti cambiano e ti consumano.
L’album sarà disponibile dal 20 giugno ma è stato anticipato da settimane di teasing culminate in una rivelazione graduale su Instagram; include 15 tracce, molte delle quali segnano un allontanamento netto dal tono brillante e giocoso dei lavori precedenti.
Nonostante la produzione sia firmata da Danielle Haim in collaborazione con Rostam Batmanglij e Buddy Ross, l’ombra della rottura tra Danielle e Ariel Rechtshaid (produttore dei primi tre album della band) aleggia su ogni brano.
I Quit non è una dichiarazione di sconfitta, ma un atto liberatorio. E come ogni atto di rottura autentico, è confuso, contraddittorio, profondo e spesso sorprendente.
La traccia d’apertura, Gone, è uno dei momenti più ambiziosi dell’album. Costruita intorno a un sample di Freedom! ’90 di George Michael, fonde un’intro piatta e inquieta con un assolo di chitarra alla White Stripes e un’improvvisa energia garage-blues.
È un collage sonoro che funziona quasi contro ogni previsione, come se le Haim stessero cucendo insieme i pezzi della propria identità musicale con frammenti raccolti lungo il percorso.
Subito dopo arriva All Over Me, un passo falso nel registro country-pop che fatica a mantenere la tensione emotiva creata dall’opener.
Ma il riscatto è immediato con Relationships, un concentrato irresistibile di pop anni ’80, R&B anni ’90 e rap old school, il brano più catchy che abbiano mai scritto.
Da lì in poi, l’album è un saliscendi emotivo e stilistico. Million Years e Now It’s Time giocano con sintetizzatori aggressivi e richiami nu-metal, mentre brani come Cry e The Farm si ritirano in un intimismo più dolente.
Take Me Back riporta l’ironia tipica delle sorelle californiane, con uno sprechgesang che dà voce alla loro personalità vivace e autoironica, spesso sacrificata nelle produzioni più levigate.
Eppure, il vero collante dell’album non è la varietà sonora, ma il dolore stratificato che lo attraversa.
Le Haim esplorano una relazione lunga e tossica con una lucidità che lascia il segno.
Le liriche sono piene di frasi taglienti come “giuro che non ti importerebbe se fossi coperta di sangue stesa morta per strada” e riflessioni brutali sul senso delle relazioni, come “è solo la merda che hanno fatto i nostri genitori?”.
I Quit è imperfetto, come ogni catarsi. Ma è anche coraggioso, onesto, profondamente umano.
È un disco che rinuncia alla perfezione formale per restituire la verità disordinata delle emozioni. Non è solo un altro album sulle rotture: è una dichiarazione di consapevolezza, un grido sofferto ma liberatorio.
Le Haim non stanno più cercando di capire chi sono. Lo sanno – e hanno deciso di non scusarsi più per questo.