India e Pakistan: cessate il fuoco dopo 4 giorni di guerra

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Dopo quattro giorni di combattimenti senza precedenti tra due potenze nucleari, India e Pakistan hanno concordato un cessate il fuoco completo e immediato.
L’annuncio è arrivato sabato mattina attraverso un post del presidente Donald Trump su Truth Social, dove ha dichiarato che l’accordo è stato raggiunto “dopo una lunga notte di colloqui mediati dagli Stati Uniti”. Trump ha elogiato entrambi i paesi per aver dimostrato “buon senso e grande intelligenza”.
Tuttavia, sia Nuova Delhi che Islamabad hanno presentato una narrazione diversa.
Il ministro degli Esteri indiano Vikram Misri ha ribadito che il cessate il fuoco è stato “negoziato direttamente tra i due paesi”, sottolineando la politica indiana di mantenere bilaterale ogni questione legata al Pakistan, in particolare la disputa sul Kashmir.
I”l direttore generale delle operazioni militari in Pakistan ha chiamato il direttore generale delle operazioni militari in India alle 15:35 di questo pomeriggio. È stato concordato che entrambe le parti avrebbero cessato tutti i combattimenti e le azioni militari su terra, aria e mare a partire dalle 17:00 di oggi, ora standard indiana.”
Sebbene funzionari pakistani abbiano confermato l’accordo, nessuno dei due governi ha attribuito un ruolo decisivo a Washington.
In questo contesto, è significativo il tentativo dei funzionari statunitensi di attribuirsi il merito della tregua. Il Segretario di Stato Marco Rubio ha sottolineato in una nota che sia lui che il vicepresidente J.D. Vance sono stati coinvolti in contatti prolungati con i vertici di India e Pakistan.
Secondo Rubio, oltre al cessate il fuoco, i due paesi avrebbero anche concordato di avviare colloqui multilaterali in una sede neutrale, un’affermazione però prontamente smentita da Nuova Delhi.
L’inclusione di Vance nei negoziati appare sorprendente, considerando le sue recenti dichiarazioni.
Solo 48 ore prima, in un’intervista a Fox News, il vicepresidente aveva affermato che, pur potendo gli Stati Uniti incoraggiare una de-escalation, “non ci intrometteremo in una guerra che fondamentalmente non ci riguarda e non ha nulla a che fare con la capacità dell’America di controllarla”.
La discrepanza tra retorica pubblica e coinvolgimento diplomatico solleva interrogativi sul reale ruolo svolto da Washington nella crisi.
Il conflitto, innescato da un attacco terroristico contro turisti nel Kashmir indiano, era degenerato mercoledì in scontri diretti, con attacchi aerei, bombardamenti lungo la Linea di Controllo e l’uso massiccio di droni da combattimento.
Entrambi i paesi hanno riportato danni significativi e vittime civili, mentre l’utilizzo di “missili ad alta velocità” ha fatto temere una possibile escalation nucleare.
Intorno al tavolo diplomatico si sono mossi anche Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti e Qatar, con l’obiettivo di contenere il conflitto.
Gli Stati Uniti, da parte loro, sono attualmente coinvolti in negoziati economici con entrambe le nazioni: il Pakistan ha chiesto un’estensione del prestito al FMI, mentre l’India sta cercando di evitare nuovi dazi imposti dall’amministrazione Trump.
Il cessate il fuoco, entrato in vigore sabato alle 17:00 ora locale, sarà riesaminato lunedì, quando i direttori generali delle forze armate dei due paesi si incontreranno di nuovo.
Per ora, il silenzio delle armi ha portato un fragile sollievo alla popolazione del Kashmir, storicamente intrappolata tra due eserciti in conflitto.