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Il 13 luglio 1985 è una data scolpita nella storia della musica e della solidarietà globale. Quarant’anni dopo, Live Aid resta un evento irripetibile, frutto di coraggio, follia e di un’umanità che oggi sembra smarrita.
Fu un’idea tanto semplice quanto folle: mettere insieme, in un solo giorno, le più grandi star della musica mondiale per salvare milioni di vite in Etiopia, martoriate da una carestia devastante.
A proporla fu Bob Geldof, allora frontman dei Boomtown Rats, band irlandese dal buon successo new wave. La sua telefonata – sì, una sola telefonata – bastò a far muovere montagne: Paul McCartney, David Bowie, Madonna, Queen, Led Zeppelin, U2, Elton John, Black Sabbath, Bob Dylan, Mick Jagger, Tina Turner… Tutti dissero sì.
Un concerto planetario, un messaggio universale
Il Live Aid prese vita in contemporanea da due palchi, uno allo stadio di Wembley a Londra e l’altro al JFK Stadium di Philadelphia.
Sedici ore di musica ininterrotta, trasmesse in diretta via satellite in oltre 150 Paesi e viste da quasi due miliardi di persone.
In un mondo dove i satelliti erano costosissimi e i collegamenti tutt’altro che fluidi, si trattò di un’impresa titanica, anche solo dal punto di vista tecnico. Ma andò in porto. E cambiò per sempre la storia dei grandi eventi dal vivo.
Si stima che furono raccolti 127 milioni di dollari (circa 150 milioni di oggi), destinati a combattere la fame in Etiopia.
Ma l’impatto fu molto più ampio: per la prima volta, il mondo si fermò e guardò altrove. Non alla propria comfort zone, ma a chi moriva silenziosamente, lontano dagli occhi dell’Occidente. E fu la musica – non la politica – a svegliare le coscienze.
Queen trionfatori, Dylan disastroso, McCartney silenzioso
Live Aid fu memorabile anche per le performance. I Queen, che si esibirono nel pomeriggio londinese, conquistarono il mondo con una delle migliori esibizioni live della storia: venti minuti di pura energia e carisma.
Freddie Mercury ipnotizzò pubblico e spettatori con una presenza scenica leggendaria. Tuttora, quel set è considerato il punto più alto della carriera della band.
Dall’altra parte dell’Atlantico, Bob Dylan fece esattamente il contrario. Salì sul palco con Keith Richards e Ron Wood, visibilmente alticci, improvvisando una versione caotica di Blowin’ in the Wind mai provata prima.
A peggiorare la situazione, la rottura di una corda della chitarra costrinse Wood a simulare un’intera performance con una “air guitar”, ricevendo una chitarra scordata solo a metà canzone.
Paul McCartney, invece, si trovò con il microfono staccato per i primi due minuti di Let It Be, lasciando lo stadio e il pubblico televisivo in silenzio. Fortunatamente, nella versione rimasterizzata in DVD, le tracce audio originali sono state recuperate e migliorate.
Phil Collins: dall’eroe all’imbarazzo
Una menzione a parte merita Phil Collins. In uno slancio da record, suonò prima a Londra, poi prese il Concorde – simbolo dell’ingegneria aerospaziale di allora – e volò a Philadelphia per esibirsi di nuovo.
Ma qualcosa andò storto. Prima una stecca colossale al pianoforte su Against All Odds, poi una performance con i riformati Led Zeppelin così imbarazzante che Jimmy Page rifiutò qualsiasi pubblicazione e bollò Collins come un “nemico del rock”.
Luci e ombre di un’impresa titanica
Live Aid fu anche questo: stonature, disastri tecnici, egocentrismi, tensioni. Ma il senso profondo restò intatto. “Fu un momento di unità globale”, ha ricordato Bob Geldof nel documentario realizzato da Mary’s Meals. “Per un giorno, il mondo smise di guardare solo a sé stesso.”
Certo, oggi non mancano le critiche. Live Aid fu accusato di essere il trionfo del “salvatore bianco”, ignorando le vere cause della fame in Etiopia: conflitti armati, instabilità politica, interessi coloniali mai davvero superati.
E la scarsa presenza di musicisti africani sul palco fu un vuoto evidente.
Geldof, oggi Sir per meriti umanitari, non nega gli errori: “Oggi agirei diversamente”, ha detto alla BBC. Ma rivendica con orgoglio la portata dell’evento. “Oggi sarebbe impossibile rifarlo. Le star farebbero al massimo un video per i social. C’è troppa apatia”.
La lezione dimenticata
Quarant’anni dopo, il Tigrè è ancora affamato. I giornalisti non possono entrare, le guerre non si fermano e il cibo è diventato strumento di potere e ricatto.
Le ONG combattono silenziosamente, ma il mondo ha voltato lo sguardo altrove. “Come è possibile che in un mondo di abbondanza si muoia ancora di fame?”, si chiede Geldof. La risposta è crudele nella sua semplicità: oggi manca la volontà.
Live Aid fu imperfetto, sì. Ma fu anche un raro esempio di compassione collettiva, capace di unire miliardi di persone sotto un’unica causa. Oggi, nella frammentazione del digitale, dove la musica è ridotta a singoli in playlist anonime, un evento del genere è impensabile.
Ma forse, proprio per questo, ricordare Live Aid è più importante che mai.