Lulù Selassiè, tanti dubbi nelle motivazioni della sentenza

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Lulù Selassiè ha dovuto aspettare fino all’ultimo giorno utile per poter leggere le motivazioni con cui un giudice la ha condannata in primo grado a 20 mesi per il presunto stalking a Manuel Bortuzzo. Inseriamo la presunzione di innocenza perché i giudici hanno dato ragione al nuotatore senza prove solide, ma basandosi sui lacunosi racconti di un compagno di stanza della nazionale paralimpica di nuoto, del padre, di un amico di famiglia e della titolare di un locale frequentato dai Bortuzzo nota supporter del nuotatore.
Più che testimoni oculari, persone che data la vicinanza affettiva al Bortuzzo si sono limitate a dire che la Selassiè era fastidiosa, ossessionata e addirittura pericolosa, non si sa su quali basi visto che probabilmente negli ultimi tre anni ne avranno senz’altro sentito parlare, ma sicuramente la avranno vista poco se non per nulla.
In un Paese garantista un giudice ha disposto in 3 settimane un provvedimento restrittivo, ma si è preso tutto il tempo a sua disposizione per scrivere una sentenza in cui non sono state considerate tutte le prove portate dalla principessa di origini etiopi. Si tratta di messaggi del Bortuzzo, inviati alla Selassié che attestano che nonostante raccontasse in giro di essere perseguitato dalla sua ex fidanzata, lui la cercava.
Una eminenza grigia dietro a tutto?
Come non si è potuto tener conto di simili prove? E’ subentrato quello strano meccanismo per cui il pietismo fa in modo che la realtà venga alterata o ci sono stati elementi terzi che non conosciamo ad aver “condizionato” la decisione dei magistrati?
Alcuni episodi appaiono strani e inusuali, il giudice che infligge quattro mesi in più all’imputata rispetto a quelli proposti dal Pubblico Ministero, il diniego alla sospensione del provvedimento restrittivo anche quando la Selassiè si trovava a oltre 500 chilometri dalla presunta vittima, informazioni sul procedimento che escono non si sa per mano di chi, dalla Procura.
Tanti, troppi eventi inattesi e inusuali che non possono non far balenare il pensiero che dietro a tutto ci sia o ci sia stata qualche eminenza grigia a manovrare il tutto, qualcuno che ha deciso che la Selassiè andava annullata e allontanata. Qualcuno che ha costruito un castello di accuse intorno alla principessa e parallelamente ha fatto in modo che la comunicazione sui media fosse a senso unico.
La narrazione a senso unico
Alla speculazione televisiva sul noir e sugli eventi di cronaca siamo tutti abituati, su determinati accadimenti si vanno a cercare anche parenti di sedicesimo grado o compagni di scuola degli indagati, come mai alla Selassiè, parte in causa, non è stata data la possibilità di raccontare la sua versione dei fatti? Una indagata che vuole parlare le trasmissioni se la litigherebbero, come mai su di lei tutto questo silenzio?
Come mai davanti alle contraddizioni di Bortuzzo non è stata data voce alla controparte? Probabilmente chi ha messo in piedi tutto il castello accusatorio, ha erroneamente pensato che la Selassiè se ne sarebbe stata a guardare passivamente, a sopportare e subire in silenzio come ha fatto per tre anni? Non lo sappiamo, ma ciò che sta accadendo è inquietante.
Adesso Lulù dovrà ricorrere in Appello, i giudici non saranno gli stessi, probabilmente si chiederà alla Corte di valutare tutti gli elementi che inspiegabilmente non sono stati presi in considerazione in primo grado e le eccezioni sollevate. E’ opportuno attendersi una sentenza che prenda in considerazione tutte le prove e tutti gli elementi e soprattutto che si chiedano alla presunta parte lesa prove certe delle vessazioni subite, verba volant scripta manent!
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