Michael Jackson in due atti: biopic o operazione legacy?

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Michael Jackson è il protagonista del prossimo grande esperimento dell’industria cinematografica: un film biografico diviso in due parti che promette di ridefinire i confini tra narrazione artistica e gestione dell’eredità.
Negli ultimi anni, i biopic sui musicisti pop sono diventati un sottofilone così prolifico da sembrare un franchise.
Se da un lato pellicole come Bohemian Rhapsody e A Complete Unknown hanno sbancato il botteghino, dall’altro film come Back to Black su Amy Winehouse e I Wanna Dance With Somebody su Whitney Houston hanno mostrato i limiti del genere, soprattutto quando si confronta con tragedie personali recenti.
Dentro questo contesto si colloca Michael, il film diretto da Antoine Fuqua sulla vita del Re del Pop.
Inizialmente previsto per aprile 2025, poi rinviato a ottobre, il film è stato recentemente soggetto a un’altra estensione del calendario: ventidue giorni di riprese aggiuntive a giugno hanno spinto l’uscita probabilmente al 2026.
Una dilatazione che ha aperto la porta a una nuova strategia narrativa: Michael sarà probabilmente un film in due parti, la prima delle quali si fermerà intorno al 1980 – prima di Thriller, prima delle controversie legali, e molto prima delle accuse di molestie che hanno segnato la parte finale della carriera di Jackson.
La decisione non è solo creativa, ma legale.
Il film ha dovuto fare i conti con clausole imposte dagli eredi del cantante – tra cui il divieto di includere alcune figure coinvolte nei processi – e la divisione in due parti consente di ristrutturare il racconto in modo da evitare violazioni.
Il protagonista è Jaafar Jackson, nipote di Michael, una scelta che garantisce il pieno controllo familiare sulla rappresentazione del cantante e fa presagire un ritratto attentamente filtrato.
Ma cosa significa tutto questo per il pubblico?
La prima parte punterà su nostalgia, talento, e ascesa al successo – una narrazione familiare e rassicurante. La seconda, ammesso che arrivi mai, dovrà affrontare le ombre della storia: le accuse di abusi su minori, il declino della carriera e la morte improvvisa nel 2009.
Questo approccio potrebbe sembrare un compromesso, ma in realtà rappresenta una strategia commerciale ben precisa: spacchettare la complessità in due fasi per massimizzare incassi e attenuare l’impatto delle parti più scomode.
Il precedente c’è: MJ the Musical, un jukebox teatrale sul processo creativo di Jackson, ha riscosso enorme successo a Broadway, Londra e Sydney, evitando accuratamente gli anni successivi al 1992, quando iniziarono le accuse pubbliche.
Il pubblico, in molti casi, sembra pronto a ignorare o perdonare gli aspetti più oscuri della biografia in cambio di una celebrazione musicale.
Michael, quindi, non è solo un biopic: è un caso di studio su come Hollywood gestisce le eredità complesse nell’era post-verità.
Se avrà successo, potrebbe spianare la strada a un nuovo modello di narrazione in franchising per le icone pop. E, in un certo senso, permettere a Michael Jackson di riscrivere la sua storia anche dall’aldilà.