Nordio, nelle dichiarazioni sul braccialetto elettronico la resa dello Stato

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Davanti al proliferare di femminicidi le parole del Ministro della Giustizia, Nordio, giovedì alla Camera dei Deputati, suonano come una resa incondizionata dello Stato, l’incapacità di porre fine a un problema culturale dettato dalla non accettazione della fine di un rapporto e dall’incapacità dell’uomo di assimilare gli stessi diritti che hanno le donne nel poter scegliere.
Della cultura finto perbenista di cui è pervasa il Paese ne abbiamo ampiamente parlato, aggiungendo quanto sia frustrante sentire ripetere da parte delle Istituzioni all’indomani di un femminicidio quanto determinati atti di violenza non debbano accadere mai più. Si deve dare atto al ministro di essere stato onesto nell’ammettere quello che purtroppo è evidente, in questo momento gli strumenti che ha in mano lo Stato per fronteggiare il problema della violenza sulle donne non sono sufficienti.
Le dichiarazioni sul braccialetto elettronico
A proposito del braccialetto elettronico Nordio ha dichiarato che “molto spesso è incompatibile con i mezzi di trasporto delle persone: nel momento dell’allarme nei confronti di una persona, molto spesso la vittima si trova ad una distanza troppo lunga rispetto alle possibilità di intervento degli agenti. Dunque, bisogna coniugare questi due elementi dando un’allerta alla vittima, affinché sia in grado, nel momento in cui coglie questo momento di pericolo, di trovare delle forme di autodifesa, magari rifugiandosi in una chiesa o in una farmacia, in un luogo più o meno protetto”.
Le donne fanno bene a denunciare?
Quindi ricapitolando: lo Stato invita le donne a denunciare, ma poi un ministro della repubblica dichiara che lo Stato non ha i mezzi sufficienti per garantire la sicurezza e invita le vittime di stalking a rifugiarsi nelle chiese o nelle farmacie (sempre che ci siano preti o farmacisti disponibili all’accoglienza). Purtroppo giornalmente la cronaca ci offre un quadro orribile e disarmante di violenze su donne che avevano denunciato e attendevano da mesi misure restrittive per i loro persecutori.
Nordio ha fatto sapere ai cittadini che uno dei pochi mezzi restrittivi a disposizione per la loro tutela molto spesso non funziona e in ogni caso non garantisce la sicurezza dovuta in quanto la polizia è quasi sempre impossibilitata ad intervenire. Una resa incondizionata in completa contraddizione con l’invito alle donne a denunciare. Saranno questi i motivi per cui provvedimenti restrittivi per condotte vessatorie e violente stentano ad arrivare?
A volte più che restrizioni vessazioni
Non sappiamo dare una risposta, non sappiamo se il ministro non si sia spiegato bene o sia stato colto da un moto di sincerità. Fatto sta che quando vuole lo Stato si muove in fretta, nonostante i pochi mezzi a disposizione. Storie recenti narrano di braccialetti elettronici scattati con troppa leggerezza dopo tre settimane senza prove dimostrabili.
Misure restrittive applicate senza che ci siano stati lividi, coltelli o referti medici, senza che si sia andati a fondo con le indagini e si siano valutate le prove. Comportamenti non propri di uno Stato che si è sempre professato garantista. Come mai questa solerzia e questa urgenza di esporre privati cittadini a una gogna mediatica?
La storia Lulù Selassiè, costretta a dieci mesi di provvedimento restrittivo senza che gli elementi contro di lei fossero sostenuti da prove documentate, assumono un colore ancora più inquietante davanti alle parole di un ministro che afferma di non avere sufficienti mezzi a disposizione. Si tratta di episodi strani e dai contorni oscuri in cui è difficile non pensare all’intervento di eminenze grigie pronte a fare pressioni per ottenere quel che vogliono, episodi su cui è difficile avere risposte.
Le proteste delle associazioni e del web
Tornando alle dichiarazioni di Nordio non sono state accolte con favore dalle associazioni a tutela delle donne. “Un inaccettabile scaricabarile istituzionale”, ha dichiarato la presidente di Differenza Donna, Elisa Ercoli. “Il braccialetto elettronico, se effettivamente disponibile, funzionante e correttamente monitorato, è uno strumento utile per vigilare sul rispetto delle misure cautelari. Il problema non è il dispositivo in sé, ma l’assenza di un sistema strutturato ed efficiente per la sua gestione. È necessario che le forze dell’ordine siano dotate non solo di strumenti tecnologici, ma anche di personale dedicato al monitoraggio, formato con competenze specifiche sulla valutazione del rischio, sulla recidiva e sulla protezione delle vittime”.
Il punto “non è garantire un rifugio, ma garantire il rispetto delle misure cautelari puntando al massimo della tutela per l’incolumità psicofisica delle donne. L’obbligo dello Stato non è quello di indicare alla donna una farmacia o una chiesa dove ripararsi, ma è quello di dotare il Paese di una rete capillare di Centri Antiviolenza e Case Rifugio, affidati a soggetti specializzati e competenti. La protezione delle donne deve essere garantita da risorse pubbliche, scelte politiche chiare e investimenti stabili in prevenzione, protezione e giustizia”.
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