Roberto Benigni contro l’indifferenza: Non sentono il dolore

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Quando le parole si fanno carne, quando la poesia irrompe nella realtà con la forza della verità, allora anche la denuncia acquista una forma diversa. Così è stato per l’intervento di Roberto Benigni a Propaganda Live, una delle rarissime voci pubbliche capaci di andare oltre le tifoserie geopolitiche per restituire all’opinione pubblica uno sguardo umano, radicale, universale.
Il suo è stato un grido, non ideologico, ma etico. Un appello che squarcia l’ipocrisia diplomatica e interroga l’intera coscienza collettiva: perché il mondo continua a uccidere i bambini?
Da mesi assistiamo a un massacro a Gaza. Civili innocenti, famiglie intere, e soprattutto bambini, uccisi sotto le bombe, sepolti tra le macerie, dimenticati nei titoli di coda dei telegiornali.
Tutto è cominciato, di nuovo, il 7 ottobre, “uno dei più funesti della storia dell’umanità”, come ha ricordato Benigni. Ma la risposta all’orrore non può essere un orrore ancora più grande. Il sangue versato non può essere vendetta. Eppure, così è stato.
Le parole che Benigni ha messo in bocca a Joe Biden — “La prego di non rispondere come abbiamo fatto noi dopo le Torri Gemelle, all’orrore con altro orrore… e invece così è stato. Purtroppo.” — riassumono il fallimento della politica internazionale.
In questi mesi, il mondo ha assistito. Non sempre in silenzio, ma quasi sempre nell’inazione.
I vertici della politica internazionale hanno espresso cordoglio, appelli alla moderazione, dichiarazioni solenni. Ma nei fatti, il massacro è proseguito.
Gaza è diventata il simbolo di una tragedia che non conosce schieramenti giusti, ma solo vittime. E le vittime sono sempre più spesso bambini.
Il diritto alla difesa non può diventare una giustificazione per la distruzione sistematica di un popolo. La lotta al terrorismo non può diventare pretesto per la cancellazione dell’umanità.
E non si tratta di essere pro Israele o pro Palestina. Si tratta di essere pro-vita. Di guardare in faccia la realtà e dire: così non si fa. Come ha gridato Benigni, “si dovrebbero fermare quando un bambino si graffia”. Ma oggi i bambini non si graffiano: muoiono. In decine, in centinaia, ogni giorno.
E intanto, il mondo osserva. Perché in fondo, per l’opinione pubblica occidentale, queste guerre restano lontane, opache, ingarbugliate tra le ragioni storiche di due popoli o, peggio, nel groviglio di interessi economici che determinano quando intervenire e quando no.
Eppure non c’è più tempo per le analisi geopolitiche che si arrampicano sulle colpe altrui. C’è solo un’urgente necessità: fermare le armi. Salvare ciò che resta.
Benigni, nel suo stile appassionato, ha urlato un concetto che va inciso nel cuore della diplomazia internazionale: “Siamo tutti lo stesso corpo… Se non sentono il dolore, non sono uomini”.
Questo dovrebbe essere il fondamento di qualsiasi consesso internazionale. Questo dovrebbe essere il metro con cui giudicare governi, alleanze, silenzi.
E invece l’orrore continua. Nelle case senza tetto, negli ospedali colpiti, nei campi profughi sempre più simili a fosse comuni. Continua nel rumore delle bombe e nel vuoto delle conferenze stampa.
Serve uno scatto morale. Serve uno stop, immediato, totale, alle ostilità. Serve che le cancellerie del mondo, a partire dalle potenze occidentali, escano dall’ambiguità.
Che smettano di misurare la gravità della morte in base alla provenienza geografica. Che riconoscano che l’unica parte degna da prendere, oggi, è quella dei civili. Di tutti i civili.
Siamo al punto in cui i bambini non giocano più alla guerra: la subiscono. Non c’è più finzione. Non c’è più gioco. E se l’umanità non riesce a fermarsi di fronte a questo, allora ha davvero perso sé stessa.
In un mondo che si dice civile, non possono esserci bambini “di troppo”. Non possono esserci guerre giuste che uccidono l’infanzia. Se un bambino graffiato ferma un gioco, un bambino morto dovrebbe fermare il mondo.
E invece il mondo prosegue.
Nel rumore.
Nel calcolo.
Nell’indifferenza.