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Sarah Toscano, vincitrice di Amici 2023 e promessa emergente della musica italiana, si trova suo malgrado coinvolta in una bufera social che ha poco a che fare con la sua musica e troppo con l’odio che continua a dilagare in rete.
A scatenare l’ennesimo esempio di bodyshaming è stato un video pubblicato su TikTok, in cui la giovane artista si esibisce durante una tappa del suo tour estivo con il brano Taki.
Il filmato ha attirato, oltre a consensi e supporto, una valanga di commenti velenosi e gratuiti sul suo aspetto fisico.
Commenti che non risparmiano niente: giudizi sul peso, paragoni fuori luogo, insulti mascherati da “opinioni”, il tutto scritto con la leggerezza irresponsabile di chi si sente intoccabile dietro uno schermo.
Il bodyshaming, in questo caso, è solo la punta dell’iceberg di un fenomeno ben più profondo: l’odio social, una piaga moderna che miete vittime ogni giorno, senza distinzione di età, genere o professione.
Nonostante siano ormai numerosi – e spesso drammatici – i casi documentati di persone che hanno subito pesanti ripercussioni psicologiche e fisiche a causa di questa violenza digitale, la tendenza non solo non accenna a diminuire, ma sembra addirittura peggiorare.
I social media, nati come strumenti di connessione e condivisione, si stanno trasformando sempre più in arene di giudizio spietato e sfogo incontrollato.
Nel caso di Sarah, molti utenti si sono indignati non solo per le offese rivoltele, ma anche per l’inquietante deja-vu con quanto accaduto mesi fa ad Angelina Mango, vincitrice del Festival di Sanremo 2024.
Anche lei fu oggetto di commenti feroci, stavolta in senso opposto: giudicata per la sua eccessiva magrezza, fino al punto da doversi allontanare momentaneamente dalla musica per prendersi cura di sé.
“La storia di Angelina non vi ha insegnato nulla?”, scrivono in tanti sui social, a difesa di Sarah. E la risposta, purtroppo, è che no, sembra non aver insegnato nulla.
Ogni volta che si verifica un episodio simile, ci si illude che la reazione pubblica possa servire da lezione. Che la solidarietà mostrata dagli utenti più consapevoli possa contribuire a fermare questo meccanismo tossico.
Ma puntualmente l’odio si ripresenta, più forte, più insidioso, alimentato dall’anonimato, dall’impunità e dalla cultura della superficialità emotiva.
I social network, da parte loro, restano in gran parte impreparati o poco reattivi.
Gli strumenti di moderazione sono spesso inefficaci, le segnalazioni non portano a conseguenze tangibili e chi attacca può continuare indisturbato, spostandosi da un profilo all’altro.
Il risultato? Chi subisce è costretto a sviluppare una corazza emotiva che nessun giovane, specie all’inizio della carriera, dovrebbe essere obbligato ad avere.
Serve un cambiamento urgente, culturale e normativo. Bisogna educare all’empatia digitale fin dai primi anni di scuola, rafforzare le leggi contro la violenza online e pretendere maggiore responsabilità dalle piattaforme social.
E serve anche un cambio di mentalità collettiva: smettere di considerare “normale” o “accettabile” criticare il corpo altrui solo perché lo si fa attraverso uno schermo.
Sarah Toscano ha dimostrato talento, determinazione e professionalità.
Il palco è il suo spazio di espressione, non un tribunale. Il corpo di un artista non è oggetto di pubblico giudizio, ma uno strumento attraverso cui comunica la sua arte.
Chi guarda un video e sceglie di insultare invece di ascoltare, non sta solo mancando di rispetto a lei, ma a tutto ciò che la musica rappresenta: libertà, emozione, autenticità.
L’odio non è opinione. Il bodyshaming non è una critica costruttiva. E l’indifferenza verso tutto questo è, a sua volta, una forma di complicità.
Serve una presa di coscienza collettiva, prima che l’odio online – come un cancro silenzioso – continui a logorare la vita e i sogni di chi ha il coraggio di esporsi.