Serena “Doe” Mazzini: le false accuse, il linciaggio mediatico, la macchina del fango, l’assoluzione

#image_title
“Il 3 giugno 2024 la mia vita si è fermata. Ero nel pieno di un periodo felice, stavo scrivendo il mio libro, avevo lavorato a una legge sull’esposizione dei minori. In poche ore sono stata travolta da un call-out” Comincia così il racconto di Serena “Doe” Mazzini sul suo profilo Instagram, diciannove slide per raccontare come una macchina del fango la abbia avvolta, inghiottita e sottoposta a un linciaggio mediatico senza precedenti. Nell’epoca dei like e delle visualizzazioni poco importa approfondire e conoscere la realtà dei fatti e delle situazioni o quantomeno capire di chi si sta parlando, l’importante è seguire la massa e spararla più grossa possibile purché sia credibile.
Ed è così che quel 3 giugno 2024 di cui parla Serena nel suo incipit, mentre testa e cuore erano protesi verso il bene e la positività, decine di profili social, big account per un totale di oltre un milione di follower le hanno riversato addosso una valanga di accuse senza un fondamento oggettivo, basate su sentito dire guidati dall’invidia o semplicemente inventate di sana pianta, nel tentativo di infamarla e sminuirla. Le accuse sono di quelle pesanti: secondo chi ha deciso di distruggerla Serena sarebbe a capo di un gruppo omofobo e misogino che come occupazione principale ha quello di condividere materiale intimo non autorizzato.
Un’accusa smontabile in poco tempo se chi la accusava fosse andato a controllare la storia personale e professionale di Serena, lei social media strategist e content editor per grandi agenzie di comunicazione, in diverse occasioni collaboratrice di Selvaggia Lucarelli, aveva da sempre combattuto ciò di cui la si accusava, ma come detto, resta sempre più facile per la massa seguire la corrente e gettare fango, che fermarsi un attimo per dire al gregge di aver intrapreso una strada sbagliata.
In pochi giorni da persona a bersaglio
Serena viene definita dall’attivista Carlotta Vagnoli, la “Bibbia dello stupro”, da Giuseppe Pagano, un fotografo, come la “burattinaia del dossieraggio” , da Valeria Fonte, un’altra attivista, di essere misogina. Insieme a loro altri che senza prove e probabilmente senza neanche sapere di chi o di cosa si stia parlando, riprendono la notizia, aggiungono loro interpretazioni personali e amplificano il tutto senza alcuna prova. C’è addirittura chi mette in discussione anche l’evidenza, il provato ruolo istituzionale di Serena, insomma passando di post in post, di calunnia in calunnia, le accuse infondate diventano verità incontestabili.
“In pochi giorni non ero più una persona, ma un bersaglio – scrive Serena ‘Doe’ Mazzini nel suo post – Meme, insulti, articoli, email bombing al mio datore di lavoro, mentre su X migliaia di persone gioivano della mia distruzione”
Ovviamente anche il fisico comincia a reagire male davanti a un bombardamento del genere, oltre al crollo psicologico con conseguenti crisi di panico, Serena sente il corpo cedere a causa della gogna mediatica. “Ho perso il funerale di mia nonna, la donna che mi ha cresciuta, ho desiderato morire” scrive Serena in uno dei passaggi più drammatici del suo racconto.
Dopo 15 mesi la verità
Dopo quindici lunghi mesi durante i quali a Serena è stata diagnosticata, una sindrome da stress post – traumatico, ha dovuto rimandare il matrimonio, ha subito ritardi nell’uscita del suo libro, il tribunale il 2 settembre ha riconosciuto che lei non ha diffamato nessuno e non è mai stata a capo di gruppi misogini. La denuncia di Carlotta Vagnoli, colei che aveva accusato Serena definendola “Bibbia dello Stupro”, è stata archiviata perché senza fondamento.
Una verità raggiunta a caro prezzo, tuttora Serena non riesce ad uscire di casa senza pensare che qualcuno incontrandola o semplicemente incrociando il suo sguardo, possa pensare che lei sia davvero responsabile delle cose di cui la si accusava. Alla fine di tutto, Serena è giunta a una conclusione, una triste verità, chi la ha accusata non lo ha fatto per attivismo, ma per distruggere: “Io oggi chiedo quello che loro hanno sempre preteso– scrive Serena – che ci siano spazi safe per noi vittime. Non sono sola. Siamo in tante, in tanti. Non abbiate paura di parlare”
Conclusioni
La vicenda di Serena ‘Doe’ Mazzini accende i riflettori su quanto pericoloso possa diventare l’odio social soprattutto quando il medesimo è mascherato da battaglie, o quando quelle stesse (giuste) battaglie diventano (scorretto) motivo per arrecare danno. La storia di Serena fa riflettere sulla facilità su cui si scrive, si commenta o si rilancia un post senza approfondire e senza rendersi conto di quanto lesivo possa diventare per chi è oggetto di attacco. L’invito per tutti è verificare e informarsi prima di pubblicare contenuti, perché quello che all’apparenza e per disinformazione può apparire un atto di protesta può invece nascondere linciaggio gratuito e immotivato contro chi non c’entra nulla.
About The Author
