Carini vs. Khelif, il match fuori dal ring

Qualcuno, in un famoso discorso, ci definì “Un popolo di poeti, di artisti, di eroi, di santi, di pensatori, di scienziati, di navigatori, di trasmigratori”.
Questa frase spicca sul palazzo della Civiltà del lavoro, a Roma, nel Quartiere dell’Eur: ebbene, si tratta di un estratto di un discorso di Benito Mussolini.
L’abbiamo sentita ripetere in tutte le salse, magari ridotta o mutilata di qualche categoria, citata ironicamente o spregiativamente per la sua ridondante retorica.
Eppure, eccoci qui, la utilizziamo anche noi, con un’ulteriore aggiunta: siamo un popolo di tuttologi dell’ultimo momento, pronti ad urlare la nostra perentoria opinione, anche su argomenti che non conosciamo affatto, come se stessimo declamando il “verbo”.
Il caso dell’incontro di Angela Carini e Imane Khelif è l’ultimo argomento della infinita lista; tutti si sono voluti cimentare, dagli esperti, finanche alle “riviste” che normalmente parlano di tradimenti, programmi trash e ascelle rifatte.
Le due boxeurs sono state protagoniste di un incontro senza precedenti: combattuto non da loro ma dal pubblico e non sul ring ma sui giornali e sui social.
Il loro match, svoltosi il primo agosto ai giochi olimpici di Parigi, è durato poco più di 40 secondi, con il ritiro dell’italiana Angela Carini e la conseguente vittoria dell’algerina Imane Khelif.
In realtà, ancora una volta, abbiamo perso tutti.
Motivo del dibattito? La genetica.
In un primo momento si è sparsa la voce che Imane fosse transgender e che l’incontro fosse iniquo in quanto, in realtà, si sarebbe trattato di un uomo contro una donna.
Imane Khelif, però, come tante altre donne al mondo, è un intersessuale, ossia con caratteristiche sia femminili che maschili.
Non si tratta di una cosa così rara come si potrebbe pensare, le persone nate con caratteristiche intersessuali costituiscono fino all’1,7% della popolazione mondiale.
Si tratta di persone che presentano, a livello biologico, differenze o variazioni nello sviluppo del sesso, che possono riguardare tanto cromosomi e ormoni sessuali quanto i genitali esterni o gli organi riproduttivi interni.
Come in Italia e in tanti altri Paesi del mondo, anche in Algeria la legge prevede due soli generi che vengono assegnati alla nascita: Imane è evidentemente dotata di genitali esterni femminili e viene classificata come donna.
L’ignoranza, le strumentalizzazioni politiche, quelle religiose hanno tenuto banco prima, durante e dopo l’incontro e hanno fatto perdere di vista le cose importanti, in primis le due atlete, salite sul ring con uno stato d’animo fortemente compromesso da tutte le polemiche.
Per non parlare poi dello spirito olimpico, una manifestazione che vuole celebrare lo sport, l’inclusione, forse l’ultimo vero baluardo in un mondo in cui le attività sportive sono diventate, per lo più, un altro sistema per fare business.
Faccio mie le parole di una canzone dei Depeche Mode, Walking in my shoes:
But I tell you now, my judge and jurors (Ve lo dico ora, miei giudici e giurati)
Intentions couldn’t have been purer (Le mie intenzioni non potevano essere più pure)
My case is easy to see (Il mio caso è facile da giudicare)I’m not looking for a clearer conscience (Non sto cercando di ripulirmi la coscienza)
Peace of mind after what I’ve been through (La pace dopo tutto quello che ho passato)
And before we talk of any repentance (E prima di parlare di pentimento)
Try walking in my shoes (Provate a camminare nelle mie scarpe)
Questi versi, mai come oggi, mi fanno pensare ad Imane Khelif, offesa, derisa, umiliata perché non “conforme” alle regole di una religione che dovrebbe professare pietà e compassione ma che schiaccia una persona nel nome dello stesso “dio” che quella persona l’ha creata.
Abbiamo provato a “vestire i suoi panni”, a “camminare nelle sue scarpe”? Risposta ovvia, no. Non lo facciamo mai. Non ci proviamo neanche a guardare il mondo dalla prospettiva di chi deridiamo, giudichiamo, condanniamo.
Penso a Imane e a tutti gli esclusi, agli ultimi, a come devono sentirsi, sbeffeggiati dagli stessi che poi vanno nei luoghi di culto a pregare con il capo chino auspicando pace e misericordia. Quei luoghi di culto dove spesso si consumano violenze terribili ma di cui non si parla.
E mentre ai più la fine della relazione tra i due protagonisti di programma televisivo può sembrare una tragedia, uno shock, come titolerebbe un qualsiasi giornaletto da quattro soldi, resto sconvolta da quanto sempre più facilmente ormai, il nostro lato oscuro, la nostra anima nera riesca a prendere il sopravvento.
….complimenti, nulla da aggiungere. Analisi perfetta.