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Giovanni Brusca torna libero, il boss di Cosa Nostra, colui che il 23 maggio 1992 azionò il telecomando che a Capaci procurò l’esplosione che uccise il giudice Giovanni Falcone, la moglie Francesca Morvillo e tre uomini di scorta, ha terminato la pena, ridotta a 26 anni in quanto collaboratore di giustizia.
L’ex boss rimarrà sotto copertura e verrà trasferito in località protetta. Oltre ad essere stato il “boia” di Capaci, Brusca si è reso responsabile di centinaia di omicidi ed è stato il mandante dell’omicidio del piccolo Giuseppe Di Matteo, 11 anni, figlio del pentito di mafia Santino, il cui corpo fu sciolto nell’acido dopo la morte per impedire al padre di collaborare con la giustizia.
Parlando al Tg1, l’avvocato Luigi Li Gotti, difensore dell’ex boss, ha ribadito che il suo assistito ha potuto usufruire di una forte riduzione di pena grazie a una legge premiale voluta dagli stessi Falcone e Borsellino per indurre i pentiti di mafia a collaborare con la giustizia: “L’ho sentito, era soddisfatto. Sentirsi libero da vincoli è qualcosa che lo soddisfa- ha dichiarato il legale – questa è la legge premiale voluta da Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, ha iniziato una collaborazione nel ’96, ha fatto arrestate complici, ha fatto scoprire depositi di armi, ha evitato altre stragi. Ha scontato la sua pena, ha goduto di tutto cio’ che la legge prevede. Ora la sua speranza è di potere iniziare una nuova attività lavorativa e il reinserimento sociale”.
Il commento di Maria Falcone
Maria Falcone, sorella del giudice assassinato dalla mafia, ha dichiarato che pur non riuscendo a nascondere il dolore, come donna delle Istituzioni sente il dovere di “affermare con forza che questa è la legge. Una legge, quella sui collaboratori di giustizia, voluta da Giovanni, e ritenuta indispensabile per scardinare le organizzazioni mafiose dall’interno”
“Ha beneficiato di questa normativa, ha avuto un percorso di collaborazione con la giustizia che ha avuto un impatto significativo sulla lotta contro Cosa Nostra. Le sue confessioni hanno contribuito all’arresto di numerosi mafiosi e alla confisca di beni illeciti. Tuttavia non si può ignorare che la sua collaborazione non è stata, su ogni fronte, pienamente esaustiva. In particolare, rimane tuttora un’area nebulosa quella riguardante i beni a lui riconducibili, per i quali la magistratura ha il dovere di continuare a indagare e chiarire ogni dubbio: colpire i mafiosi nei loro interessi economici è la pena più dura, privarli del denaro è ciò che li annienta davvero”.
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