Sharon Tate: l’angelo di Hollywood spezzato dal culto Manson

#image_title
Il 9 agosto 1969, Hollywood perse uno dei suoi volti più promettenti in uno degli omicidi più brutali e scioccanti della storia americana. Sharon Tate, attrice emergente e moglie del regista Roman Polanski, fu assassinata nella sua casa di Beverly Hills da membri della “famiglia” di Charles Manson.
A 56 anni di distanza, il suo nome resta inciso nella memoria collettiva come simbolo di un’innocenza infranta e di un’epoca che cambiò per sempre.
Una stella in ascesa
Nata il 24 gennaio 1943 a Dallas, Sharon Tate visse un’infanzia itinerante a causa del lavoro del padre, ufficiale dell’esercito. Dopo aver vinto concorsi di bellezza e posato per riviste militari, Tate si avvicinò al mondo del cinema durante un soggiorno in Italia.
Trasferitasi a Los Angeles a 19 anni, firmò un contratto con il produttore Martin Ransohoff e ottenne ruoli in serie TV come The Beverly Hillbillies e Mister Ed. Il suo primo ruolo da protagonista arrivò nel 1966 con L’occhio del diavolo.
Nel 1967, Tate recitò in tre film di successo: The Fearless Vampire Killers, Don’t Make Waves e La valle delle bambole, quest’ultimo le valse una nomination ai Golden Globe.
L’anno seguente sposò Roman Polanski e, nel 1969, si stabilì con lui al 10050 di Cielo Drive, nel Benedict Canyon di Beverly Hills. Era incinta di otto mesi e mezzo del loro primo figlio.
La notte dell’orrore
La sera dell’8 agosto 1969, Tate cenò con gli amici Jay Sebring, Abigail Folger e Wojciech Frykowski all’El Coyote Cafe. Tornarono a casa poco prima della mezzanotte.
Fu allora che Charles “Tex” Watson, Patricia Krenwinkel e Susan Atkins, seguaci di Manson, fecero irruzione nella villa. Linda Kasabian, un’altra adepta, rimase in auto.
Secondo le testimonianze, gli aggressori radunarono le vittime nel soggiorno. Watson sparò a Sebring e legò lui e Tate con una corda. Frykowski e Folger tentarono la fuga, ma furono raggiunti e accoltellati a morte.
Steven Parent, un giovane in visita al custode della casa, fu ucciso con un colpo di pistola mentre cercava di andarsene.
Sharon Tate fu pugnalata 16 volte. Le sue ultime parole, secondo il libro Helter Skelter del procuratore Vincent Bugliosi, furono un disperato appello alla vita: “Per favore, lasciami avere il mio bambino.”
Atkins, una delle assassine, confermò questo dettaglio in tribunale.
Il movente e il terrore
Charles Manson orchestrò gli omicidi con l’intento di scatenare una guerra razziale, che chiamava “Helter Skelter”, ispirandosi al brano dei Beatles.
Il massacro di Tate fu seguito, la notte successiva, dall’uccisione dei coniugi LaBianca. In totale, Manson e i suoi seguaci furono condannati per nove omicidi.
La reazione pubblica fu inizialmente distaccata, ma il secondo omicidio generò panico. Celebrità e personaggi dell’alta società iniziarono a vivere nella paura, assumendo guardie del corpo e rafforzando la sicurezza.
Il fotografo Julian Wasser, che immortalò la scena del crimine per Life, dichiarò che la morte di Tate segnò la fine dell’innocenza a Hollywood.
L’eredità di Sharon Tate: tra memoria, cinema e giustizia
Sharon Tate aveva solo 26 anni. La sua morte non fu solo una tragedia personale, ma un punto di svolta culturale. La sorella Debra Tate continua a battersi per la memoria della vittima e per la giustizia, sostenendo che potrebbero esserci altre vittime del culto di Manson ancora sconosciute.
L’immagine di Sharon Tate continua a vivere non solo attraverso i suoi film, ma anche nel modo in cui la sua storia è stata reinterpretata nel tempo.
Se “La valle delle bambole” è passato da flop critico a cult cinematografico, le successive rappresentazioni della sua figura hanno contribuito a consolidarne il mito.
Hilary Duff ha offerto una versione horror in The Haunting of Sharon Tate, mentre Margot Robbie ha reso omaggio all’attrice in C’era una volta a… Hollywood di Quentin Tarantino, regalando al pubblico una visione alternativa e idealizzata della tragedia.
Ma l’eredità di Tate si estende oltre lo schermo. Dopo la sua morte, la madre Doris Tate si è battuta per i diritti delle vittime, ottenendo nel 1982 l’approvazione della Carta dei diritti delle vittime in California.
Questo ha permesso che le dichiarazioni di impatto delle vittime fossero ammesse in tribunale, segnando un cambiamento significativo nel sistema giudiziario.
Doris ha poi fondato la Coalizione per i diritti uguali delle vittime, trasformando il dolore personale in attivismo concreto.
Roman Polanski: tra lutto e controversie
La morte di Sharon Tate ha segnato profondamente Roman Polanski, che si trovava a Londra al momento dell’omicidio. Secondo il racconto dell’amico Andy Braunsberg, Polanski si disintegrò emotivamente alla notizia.
Tornato a Cielo Drive, il regista fu fotografato davanti alla porta d’ingresso ancora macchiata di sangue, in un gesto tanto controverso quanto emblematico. Quelle immagini, pubblicate da Life, suscitarono indignazione e portarono a una causa legale da parte del proprietario della casa.
Polanski ha dichiarato che la sua immagine pubblica cambiò radicalmente dopo la tragedia, alimentata da insinuazioni infondate di satanismo legate al suo film Rosemary’s Baby.
Tuttavia, la sua reputazione fu ulteriormente compromessa nel 1978, quando si dichiarò colpevole di rapporti sessuali illeciti con una minorenne.
Dopo aver scontato solo parte della pena, fuggì in Francia, dove ha continuato la sua carriera cinematografica, vincendo anche l’Oscar per Il pianista.
Le accuse di violenza sessuale si sono moltiplicate nel tempo, rendendolo una figura controversa e latitante dagli Stati Uniti, dove non ha più potuto visitare la tomba di Tate.
La casa di Cielo Drive: da scena del crimine a simbolo culturale
La casa di Cielo Drive, teatro dell’omicidio, ha avuto una storia travagliata. Il proprietario Rudolph Altobelli cercò di ottenere un risarcimento da Polanski e dalla rivista Life, sostenendo che la pubblicazione delle foto avesse danneggiato il valore dell’immobile.
Dopo aver vissuto nella casa per anni, Altobelli la vendette nel 1988. Trent Reznor, leader dei Nine Inch Nails, la affittò negli anni ’90, registrando l’album Downward Spiral proprio nel soggiorno dove Tate fu uccisa.
Un incontro con Debra Tate lo portò a riflettere sul significato di vivere in quel luogo, spingendolo ad abbandonarlo.
Reznor portò con sé la porta d’ingresso, installandola nel suo studio a New Orleans, ma la casa fu infine demolita nel 1994. Il suo abbattimento ha segnato la fine fisica di un luogo carico di dolore, ma non ha cancellato la memoria di ciò che vi accadde.
La tragica morte di Sharon Tate si intreccia con il cinema, la giustizia e la cultura pop, continuando a suscitare riflessioni sul modo in cui la società affronta la tragedia, la fama e la memoria.
A distanza di oltre mezzo secolo, la storia di Sharon Tate resta un monito contro l’oscurità che può celarsi dietro il carisma e la follia. Un angelo spezzato, la cui luce continua a brillare nel cuore di chi ne custodisce il ricordo.