Bossetti: “Ho tentato il suicidio, non so come sia successo, ma non ho ucciso Yara”

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Massimo Bossetti è stato intervistato da Francesca Fagnani nella prima puntata di ‘Belve Crime’, in onda su Rai 2. Molto intensa la conversazione tra i due. Di seguito il virgolettato integrale di Massimo Bossetti, condannato in terzo grado all’ergastolo per l’omicidio di Yara Gambirasio: “Come sto? Sopravvivo. Sopravvivo all’ingiustizia che sono costretto a vivere. Capisco i genitori di Yara, la perdita di un figlio è un dolore tremendo, sono destinati a portarlo fino alla fine dei loro giorni. Non è fatta la giustizia che si dovrebbero meritare: dal mio punto di vista si dovrebbero ripercorrere diverse strade.
Se ho l’inferno dentro di me? Assolutamente no: non avendo commesso, non me lo sento attribuito addosso. Sono tranquillo. Mi sento addosso l’etichetta del mostro. Anche se venissi prosciolto, tutti si ricorderebbero di quest’accusa infamante e vergognosa. È come un tatuaggio sulla fronte: te lo trascini per sempre. Sono la classica persona comune e normale. Non sono freddo come si dice: non ho niente da nascondere”.
SUL SUO CARATTERE – “Sono stato descritto come lunatico, con varie personalità, ma queste etichette non mi appartengono. Vengo percepito ancora come un uomo enigmatico, ma non lo sono. Viene percepita nei miei confronti una certa doppiezza ed è normale, davanti a quest’accusa vergognosa e infamante. Quale rapporto ho con la verità? Normale. Cosa significa? Io mi sono sempre difeso, lottando energicamente, con la mia unica arma possibile: la verità.
Ma non c’è verità per chi non possa ascoltare. Poi per carità, chi non le dice le bugie… Nel cantiere a Seriate venivo soprannominato “Il favola”, perché ho inventato una balla tremenda: non mi pagavano da 4 mesi, allora mi inventai di avere un tumore al cervello. È molto pesante dire di se stessi una cosa del genere, ma in quel momento mi è saltata in testa una cosa così”.
SU ALCUNI DETTAGLI DEL CASO – “È vero che andavo a fare le lampade, due o tre volte al mese. Visto che c’erano problemi economici, non volevo discutere con mia moglie e l’ho sempre negato. Se una certa tendenza a dire bugie ha influito sulla mia condanna? Sì. Riguardo l’aspetto fisico, mi piace tenermi in forma. Anche adesso continuo. Ricevo molte lettere in carcere e dopo l’uscita della docuserie di Netflix sono molto aumentate. Sono lettere di incoraggiamento e supporto. Io rispondo a ciò a cui mi interessa rispondere.
Le sentenze devono essere rispettate, ma possono anche essere messe in discussione. Ho sperato che l’opinione pubblica influenzasse sui giudici. È brutto da dire, ma l’opinione pubblica influenza spesso i pareri dei giudici. Non è stato il mio caso. La mia rabbia si è tramutata in forza. Grazie alle persone che mi sono vicine e non mi hanno mai abbandonato, riesco a resistere.
Bisogna trovare tutte le opportunità possibili che il contesto ci offre, per non pensare. Mia moglie è scoppiata a piangere dopo la sentenza perché non se l’aspettava. Dopo quindici ore in camera di consiglio, ho pensato che non tutti i giudici fossero favorevoli, ma alla fine è successo il contratto di ciò che mi aspettavo”.
LA SUA INFANZIA DIFFICILE – “Io avevo 40 anni, perché doversi avventare contro una povera bambina? Poteva essere mia figlia. Definirei la mia infanzia un po’ tormentata, dagli umori dei miei genitori: litigavano spesso noi figli, mio padre era piuttosto severo. Se io e mia sorella gemella tornavamo tardi da scuola, capitava che per due giorni restavano chiusi in camera senza mangiare. Mio padre non accettava mai niente.
Sono molto legato a mia mamma, ho avuto un rapporto molto morboso con lei. Quando è venuta a mancare, è stata una sofferenza immensa. Oltre a mia moglie ho avuto altre storie ma non le ho mai presentate in famiglia perché non erano cose serie. Sono venuto a conoscenza solo in carcere dell’infedeltà di mia moglie. Non avevo mai avuto alcun sospetto, il pubblico ministero in aula me l’ha detto”.
LE SUE FANTASIE SESSUALI – “Guardavo porno con mia moglie dopo le 21, con i figli messi a dormire. Io sono negato con i computer, lei cercava, guardavamo assieme. Siti sadomaso e siti d’incontri? Può essere. Cercavi “stivali” e veniva fuori una stringa, tutte parole con la “s”. Per curiosità si andava a vedere lì. Mia moglie l’ha ammesso perché lei ne ha fatto più uso di me, anche quando ero in cantiere. “Ragazzine con vagine rasate” e “ragazze vergini russe”? Non siamo stati noi, sono ricerche prodotte in via automatica: non siamo stati né io né mia moglie.
Le ricerche risultano diverse volte? Non abbiamo mai fatto ricerche in quel senso lì. Ribadisco, non ho mai fatto ricerche di quel genere. In carcere è nata una corrispondenza epistolare con la detenuta Gina. Se era un flirt epistolare? Sono le classiche seghe mentali che si fanno due persone recluse in un contesto carcerario per vivere la quotidianità: niente di più, niente di meno. Ci hanno macchinato su tanto.
Ho scritto a Gina che mi piace la vagina rasata? Certo, l’ho scritto io. In carcere viene a mancare tutto, è naturale. La predilezione per ciò? Viene manipolato, prendono la palla al balzo per evidenziare questa cosa. Mia moglie sapeva della corrispondenza epistolare con Gina. È stata una vendetta nei suoi confronti, avevo già saputo della sua infedeltà, non potendo fare altro mi sono “attaccato” a questa detenuta”.
IL GIORNO DELL’ARRESTO – “Come mai mi sono fatto prendere dal panico appena ho visto le Forze dell’Ordine il giorno dell’arresto, che erano lì ufficialmente per un controllo sui pagamenti in nero, mentre i miei colleghi erano calmi? Cercavo una semplice spiegazione e non mi veniva data. Il capo cantiere mi chiamò due volte, mi disse di venire giù.
Io mi alzai, andai al ponteggio verso la botola per scendere al piano inferiore, non faccio in tempo perché vedo arrampicarsi un Carabiniere che mi intima subito di buttare la cazzuola a terra, avvicinarmi, abbassare lo sguardo e inginocchiarmi. Chiesi una spiegazione, avevo paura, mi sentii stringere braccia e collo. Non mi fecero muovere. Non è vero che sono stato rincorso. I Carabinieri mi dissero di abbassare lo sguardo, forse per far capire agli altri che sapevo il motivo dell’arresto.
Lo sogno tutte le notti, sono stati indegni. Potevano con un escamotage chiamarmi altrove, sono venuti in 40 per arrestarmi nel mio ambito lavorativo. Presumo che la mia famiglia abbiano saputo dell’arresto alle sei e mezza di pomeriggio da Studio Aperto, poi sono entrati i Carabinieri in casa, mia moglie si è accasciata a terra piangendo con i Carabinieri che cercavano di tranquillizzarla”.
SI DICHIARA INNOCENTE – “Agli atti risulta un mio pagamento F24 fatto proprio il giorno del delitto. Sicuramente quel giorno ho cenato con mia moglie. Ricordo la fiaccolata in memoria di Yara, non ho partecipato perché ero preso, ero in cantiere, ero legato al lavoro. Che idea mi ero fatto quando si parlava di Yara durante le ricerche? Si mormorava che il Sig. Fulvio Gambirasio avesse avuto diverbi con alcune persone. Non sono state prese in considerazione alcune piste nelle indagini legate a ciò”.
ATTACCA IL PADRE DI YARA – “Non riesco a digerire che quando è sparita la povera Yara, mi sono visto arrivare in cantiere il papà di Yara. Non sapevo chi fosse e non credevo fosse possibile. Un genitore rapito la cui figlia è scomparsa, ha più fretta a presentarsi in un quartiere a verificare quanta guaina occorre, oppure a cercarla in ogni modo? Se a me fosse sparita una figlia, sarei andato in capo al mondo: col cavolo che sarei andato in cantiere!
Nessuno doveva avventarsi sul corpo di una povera bambina, a maggior ragione lasciata morire di stenti su un campo, se è rimasta lì. Alcuni miei consulenti non condividono la tesi dell’accusa. Qualcuno l’ha portata lì, non è caduta dal cielo. I campi limitrofi erano stati controllati e non hanno ritrovato niente. Non so come sia finito il mio DNA sugli slip di Yara: non l’ho mai vista né incontrata, non c’è mai stato alcun tipo di aggancio”.
IN CARCERE HA SCOPERTO CHE… – “Mia mamma in 44 anni mi ha nascosto una cosa importante: non ero figlio di mio padre, l’ho scoperto in carcere. Mi ha fatto soffrire molto, ma il mio vero padre è lui. È sempre venuto a trovarmi in carcere, finché ce la faceva. Mi è sempre stato accanto.
Se ho mai pensato che mio padre sapesse? Volevo chiederglielo, ma aveva un tumore al pancreas, non volevo amplificare quella sofferenza. La rabbia non passa, ce l’ho ancora dentro. Prima della sua morte non ci siamo mai chiariti, ha sempre sostenuto che io e mio fratello fossimo figli di Bossetti Giovanni”.
IL TENTATO SUICIDIO – “Come ho reagito alla notizia dell’infedeltà di mia moglie? Il PM l’ha sperperato ai quattro venti, ecco come l’ho saputo. Mi sono congelato. Non potevo credere a una cosa messa su dal PM, ma cosa c’entrava con il caso? Ha voluto abbattermi psicologicamente. Notai che mia moglie abbassò la testa. Era venerdì, sabato avevo un colloquio con lei. Non ho dormito tutta la notte. Le chiesi la verità, lei ha ammesso, io sono partito in bestia.
E lì purtroppo la testa è partita, ho tentato un suicidio in cella. Mi hanno ritrovato con la testa immersa in un lavandino con una cintura legata al collo. Sono riusciti a portarmi nell’infermeria del carcere e mi hanno salvato. In quel momento non ho pensato al dramma dei miei figli, che volevano abbracciarmi.
Comunque mia moglie mi conosce, è convinta della mia innocenza. Vedo i miei figli tutte le settimane. Non ricordo come ho fatto questa cosa, ma non paragoniamolo ad altro. Se il fatto che non ricordo di come ho tentato il suicidio può essere legato a una rimozione dell’omicidio di Yara, o a un raptus? No”.
LE RISPOSTE FINALI – “Se io fossi stato l’autore del delitto, avrei ammesso nel giro di 10 secondi, perché tanto poi la verità è sempre venuta a galla. Si può ripetere la prova del DNA: perché non è stato fatto? In carcere ho compagni di sventura, si condivide la quotidianità di sempre. All’inizio c’è stata ostilità nei miei confronti, ora ho trovato più rispetto e più umanità. Nelle mie preghiere serali c’è sempre Yara.
Né io né Yara abbiamo avuto la meritata giustizia, per questo la tirerò sempre in ballo. Il giorno della mia vita che cambierei? Il giorno dell’arresto. La mia cicatrice più grande è l’infedeltà di mia moglie. Credo in Dio, ho sempre creduto, non ho nulla da perdonare. Non chiedo perdono ma aiuto. Cosa mi aspetto dalla vita post-carcere? La vita è imprevedibile, non penso al futuro”.