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Londra, 13 luglio 1985. Alle 18:41, i Queen salgono sul palco del Live Aid e cambiano per sempre la storia del rock. In soli 17 minuti, Freddie Mercury, Roger Taylor, Brian May e John Deacon riescono in un’impresa che avrebbe potuto sembrare impossibile: dominare una maratona musicale globale con una performance che, a distanza di decenni, è ancora considerata da molti come la più grande esibizione live di tutti i tempi.
Ma quella magia, diventata leggenda, rischiava di non accadere affatto.
In quel periodo i Queen non erano in tour, né particolarmente presenti sulla scena. La band era reduce da un periodo di tensioni interne, e l’idea di esibirsi in un evento con oltre 50 artisti sembrava quasi assurda. “Sembrava una follia”, ha raccontato Brian May. “Ma dissi a Freddie: ‘Se ci svegliamo il giorno dopo e non ci siamo stati, ce ne pentiremo’. E lui rispose: ‘Oh, fanculo, lo faremo’”.
Anche l’organizzatore Bob Geldof, mente e cuore dietro al Live Aid, inizialmente non era convinto. Secondo Harvey Goldsmith, il promoter del festival, Geldof riteneva che i Queen avessero “già raggiunto il picco”.
Era il 1985, e i Queen non erano più all’apice delle classifiche come negli anni precedenti. Ma Goldsmith insistette: “Per quella fascia oraria del tardo pomeriggio, non c’era band migliore. Conoscendo Freddie, sapevo che avrebbero fatto spettacolo”.
Aveva ragione. Prima di salire sul palco, Geldof diede a Mercury un’unica, chiara istruzione: “Non fare il furbo. Suona solo i successi: hai 17 minuti”.
Mercury comprese perfettamente la missione. Aprì con Bohemian Rhapsody e trascinò 72.000 persone in uno stadio Wembley completamente rapito. Durante Radio Ga Ga, il pubblico batteva le mani all’unisono, in un momento di comunione che sembrava quasi mistico. “Sembrava un intero campo di grano che ondeggiava”, ha ricordato Roger Taylor.
Il set fu un trionfo di energia, presenza scenica e potere comunicativo.
Hammer to Fall, Crazy Little Thing Called Love, We Will Rock You e l’immancabile We Are the Champions completarono una scaletta perfetta, calibrata per emozionare e coinvolgere.
Vent’anni dopo, nel 2005, quella breve ma intensa esibizione venne votata come il più grande concerto rock di tutti i tempi.
Non solo per la qualità musicale, ma per la carica umana e il carisma di Mercury, che con la sola forza della voce e della presenza scenica riuscì a unire un intero stadio – e milioni di spettatori nel mondo – in un’unica, indimenticabile emozione.
A volte bastano 17 minuti per scrivere una leggenda.