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La sveglia di Marco Mengoni, la mattina dell’intervista con Vanity Fair, non è suonata. L’ha fatto il vento. Alle 5.20, folate a quasi 70 chilometri orari hanno fatto cadere i vasi delle sue piante di pomodori sul terrazzo di casa a Milano.
Una scena quasi simbolica: il caos della natura che si abbatte sull’ordine coltivato con cura. Ma lui non si è arrabbiato. “Coltivo solo pomodori, al massimo bietole e spinaci. Mi danno soddisfazione. Lavorare con la terra è il mio modo di disconnettermi. Non dai social: da me stesso”.
In questa frase c’è già tutto Mengoni versione 2025: un artista più radicato, più consapevole, capace di trovare rifugio nella semplicità. Ma anche un uomo che continua a scavare dentro di sé, nella memoria, nel dolore, nei limiti, nel desiderio di rinascita.
Una carriera stellare, una fragilità dichiarata
Con quasi tre miliardi di streaming, 85 dischi di platino, otto album in studio e 15 anni di carriera, Marco Mengoni è tra le voci più potenti e riconoscibili della musica italiana contemporanea.
Eppure, oggi sceglie di mostrarsi per quello che è, senza maschere. A un passo dal suo secondo tour negli stadi – dopo il trionfo del 2023 – dice: “Sto lavorando per essere pronto, anche emotivamente. Non è facile, l’emotività è il mio pregio e il mio difetto”.
Il tour sarà “audace”: dal concept visivo alla scelta dei tessuti dei performer, Mengoni ha curato tutto. Vuole far “tuffare il pop nell’opera”, decostruire per ricostruire, come accade alla società: “Scavare, levare le macerie, riassestare ciò che resta e partire di nuovo”.
A seguire, in autunno, anche un tour europeo. “Esibirmi all’estero è naturale. Non credo nei confini. Io sono un italiano europeo, un ipereuropeo”.
L’Eurovision, il coraggio e l’attivismo
Il suo spirito “ipereuropeo” lo ha portato due volte sul palco dell’Eurovision Song Contest, che considera oggi più necessario che mai.
La prima volta, nel 2013, fu un’esperienza “insicura”. Ma nel 2023, ha voluto mandare un messaggio: “Non potevo mostrare una bandiera diversa da quella italiana, così ho nascosto dentro il Tricolore quella arcobaleno”.
Un gesto potente, clandestino, quasi temuto. “Avevo paura di essere squalificato. Ma sono felice di averlo fatto: non devono esserci limiti all’amore e ai diritti umani”.
Oggi però, dice Marco, quel gesto “suona meno potente. Sono stati fatti troppi passi indietro”. E non si tira indietro nel denunciare i provvedimenti del governo italiano, come la legge che ha reso la maternità surrogata un reato universale: “Ci sono figli che scopriranno che i loro genitori sono punibili penalmente. Vivo in un Paese che non mi rappresenta”.
Sottolinea che il potere, troppo spesso, “è nelle mani di pochi che la pensano diversamente dalla maggioranza”. E lancia un monito: “Bisogna votare con più precisione, non accontentarsi del meno peggio”.
Il lutto, la musica, il bisogno di rallentare
Nel settembre 2024, Mengoni ha perso sua madre, Nadia. Una ferita ancora aperta. “Ogni volta che ci penso è come entrare in una stanza con un buco gigante. So che cresceranno dei fiori attorno, ma il vuoto resterà sempre”.
Non ha voluto parlarne pubblicamente fino a oggi, lasciando alla musica il compito di elaborare. “Era la persona che non dovevo perdere mai. Era gigante. G-i-g-a-n-t-e”.
La musica, che lo ha sempre accompagnato, è anche ciò da cui per un po’ si è allontanato: “Non dal mestiere in sé, ma da quello in pubblico. Dovevo ricostruirmi”.
Pomodori, psicoterapia e la libertà dell’essere
Mengoni ha trovato rifugio nei gesti quotidiani: la coltivazione dei pomodori (che descrive con orgoglio come “più buoni di qualsiasi altro”), la falegnameria, la pittura. “Ho fatto anche un tavolo per casa. Ma nulla mi dà soddisfazione come i miei pomodori. Ogni pianta produce oltre 4 chili. Con l’acqua della pasta li innaffio. Non butto nulla”.
Si è iscritto a Psicologia nel 2021, ma oggi confessa di essersi arenato con gli esami. Tuttavia, la psicoterapia è una costante: “Dieci anni di lavoro su me stesso. Voglio capirmi meglio, accogliere le fragilità. L’ansia la affronto facendo cose pratiche: si è persa questa abitudine nella nostra società”.
Tra amore, futuro e nuove sfide
Sull’amore, Marco ammette: “Io amo amare. Ho questa foga di accudire, ma ora non c’è nessuno”. E aggiunge che sì, ha pensato alla paternità. I pomodori gli hanno insegnato qualcosa anche sull’amore: “Più te ne prendi cura, più ti ricambiano. Come le persone”.
Se non avesse vinto X Factor nel 2009? “Forse sarei un architetto. Ma la musica non ti lascia mai”. Della gavetta ricorda gli anni nei The Brainless e The Play Mars: “Urlavo più che potevo e allo stesso tempo mi vergognavo. Una contraddizione vivente”.
Nel mondo dello spettacolo, mantiene rapporti autentici, come quello con Jovanotti, al quale ha persino portato da New York una medicina per il gatto, in una valigetta refrigerata. “Marcos da Narcos”, scherza.
Verso un 2025 libero
“Prima convivevo con la pressione e l’aspettativa. Oggi mi sono disconnesso. In questo 2025 voglio essere semplicemente me, in tutto: nelle risposte senza compromessi, nelle scelte di libertà, nella bellezza di un nuovo equilibrio”. E conclude: “Anche a costo di sembrare un alieno”.