Martina Carbonaro, Afragola piange: “Non chiamatelo amore”

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Afragola si è fermata per dare l’ultimo addio a Martina Carbonaro, 14 anni, brutalmente uccisa dal suo ex fidanzato Alessio Tucci, 19 anni. Un femminicidio che ha sconvolto la comunità, portandola a chiedere giustizia con forza e determinazione.
Martina e Alessio avevano avuto una breve relazione, terminata quando lei aveva deciso di lasciarlo. Il giovane, incapace di accettare la fine della storia, ha trasformato la frustrazione in odio.
Il 30 maggio, Martina è stata attirata con l’inganno in un luogo isolato, un edificio abbandonato presso il palazzetto dello sport di Afragola. Qui, Alessio l’ha aggredita brutalmente, colpendola con una pietra fino a provocarne la morte.
L’autopsia ha rivelato dettagli strazianti: Martina non è morta sul colpo, ha sofferto prima di perdere la vita. Un elemento che rende ancora più insopportabile la brutalità dell’atto. Dopo il delitto, Alessio ha confessato, consegnandosi alle autorità.
Migliaia di persone si sono riunite davanti alla Basilica di Sant’Antonio per l’ultimo saluto alla giovane. Applausi e grida di “giustizia” hanno accompagnato il feretro bianco, mentre la madre di Martina, Lorenza, usciva protetta da monsignor Domenico Battaglia, che ha celebrato la funzione.
L’atmosfera era carica di rabbia e disperazione. Insulti contro l’assassino, cori per Martina. Un dolore collettivo che ha trasformato la cerimonia funebre in una manifestazione di denuncia.
Monsignor Battaglia non ha usato mezzi termini: “Martina è morta per mano della violenza. Non è follia, non è gelosia, non è un raptus. È femminicidio. È il frutto amaro di un’educazione che ha fallito. Di un linguaggio che normalizza la violenza. Di un silenzio colpevole”.
Le sue parole hanno scosso la folla, ponendo l’accento su un problema drammaticamente diffuso: l’incapacità di alcuni ragazzi di gestire il rifiuto, la distorsione del concetto di amore e il possesso come forma di affetto. “Amare non significa possedere. La rabbia non può trasformarsi in odio”, ha ammonito il cardinale.
Il femminicidio di Martina è solo l’ennesimo caso di una lunga serie.
In Italia, nel 2024, sono state uccise oltre 120 donne per mano di partner o ex partner. Un fenomeno che affonda le radici in una cultura patriarcale ancora troppo presente.
Educare i giovani al rispetto, insegnare loro la gestione delle emozioni, creare un contesto in cui chiedere aiuto non sia visto come un fallimento ma come un atto di forza: questi sono i passi necessari per prevenire tragedie simili.
Martina ha sofferto, ha lottato, e oggi la sua storia deve diventare un simbolo.
Non basta indignarsi, occorre agire. Il cambiamento parte dai giovani: dalle scuole, dalle famiglie, dalla società intera.
Il cardinale ha lanciato un appello: “Stanate dentro di voi quei pensieri distorti sull’amore. Chiedete aiuto. Non affidate alle storie di Instagram il vostro dolore. Esistono adulti che vi ascoltano. Fate sì che la morte di Martina non sia vana”.
Oggi Afragola piange, ma deve anche reagire. Perché la memoria di Martina diventi forza per cambiare.