Gemona: madre e compagna dopo aver fatto a pezzi il corpo di Venier volevano disperderne i resti in montagna

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Gemona del Friuli (Udine) – L’omicidio di Alessandro Venier assume risvolti ancora più macabri per la freddezza con cui la madre e la compagna della vittima hanno pianificato tutto nei minimi dettagli. La somministrazione di nascosto di medicinali per stordirlo, lo strangolamento dell’uomo, la divisione in tre pezzi del cadavere e la deposizione dei resti in un barile in un autorimessa, barile nel quale si erano avvedute di gettare della calce viva affinché non si avvertisse il cattivo odore di un corpo in decomposizione.
Il piano criminoso delle due donne prevedeva che il corpo smembrato rimanesse nell’autorimessa in attesa che “si consumasse” per poi abbandonarlo in montagna. Lorena Venier, 61 anni e Mailyn Castro Monsalvo, 30 anni, rispettivamente madre e compagna della vittima volevano liberarsi di quell’uomo, che il 27 luglio, due giorni dopo l’omicidio, aveva intenzione di partire con la compagna e la loro figlia di 6 mesi per la Colombia, dove un conoscente aveva avviato una attività agricola.
Alla base dell’omicidio ci sarebbe proprio la contrarietà di Mailyn nel tornare nel suo Paese d’origine e quello di Lorena Venier di separarsi dalla nipotina nonché la preoccupazione che i frequenti scatti d’ira dell’uomo mettessero in pericolo Mailyn, che Lorena definiva “la figlia femmina che non ho avuto” e la neonata. La bimba, non essendoci parenti più prossimi in Italia, è stata affidata a un Istituto.
La deposizione di Lorena Venier
Lorena Venier ha fornito una lunga confessione di quanto avvenuto il giorno dell’omicidio, spiegando come il piano è stato concepito, la sua realizzazione e quale ne sarebbe stato l’epilogo qualora l’omicidio non fosse stato scoperto. Dalla deposizione della donna gli inquirenti hanno evinto con chiarezza che sono state madre e compagna a uccidere Alessandro Venier senza la complicità di terze persone. “Pensavamo di poter fare tutto da sole – ha dichiarato la madre della vittima – una volta sezionato, sarebbe bastato attendere che si consumasse prima di portarlo in montagna Pensavo che con il tempo si sarebbe consumato. Successivamente, lo avrei portato in montagna per abbandonarlo lì , dove lui diceva che voleva fossero destinate le sue spoglie”
La donna ha anche raccontato di aver provveduto da sola a sezionare il cadavere del figlio, la nuora si sarebbe occupata di deporre le tre parti nel barile e versare sopra la calce viva: “Ho utilizzato un seghetto e un lenzuolo per contenere il sangue e l’ho sezionato in tre pezzi: non ci sono stati schizzi, per questo i carabinieri hanno trovato tutto in ordine. Mailyn è intervenuta soltanto per spostare le tre parti nell’autorimessa. Una volta inseriti i resti nel barile, lei ha anche usato la calce viva per coprirli. Sarebbero dovuti restare lì fino a quando, consumati, potevo trasportarli in montagna, per disperderli nel bosco”
Il crollo psicologico di Mailyn e la scoperta dell’omicidio
Lorena Venier ha raccontato poi cosa è accaduto la settimana successiva all’omicidio fino al 31 luglio quando Mailyn è crollata e ha chiamato i carabinieri per denunciare la suocera : ” È stata Mailyn a chiamare il 112: il piano era attendere poi far sparire i resti, ma ha avuto una crisi”. “Mia suocera ha ucciso il figlio” ha detto la trentenne colombiana agli operatori del 112 mentre la suocera le urlava : “No Lorena, no” ne sarebbe scaturito un diverbio, testimoniato anche da alcuni lividi sulle braccia di Mailyn, probabilmente dovuti al tentativo della suocera di strapparle il telefono dalle mani.
All’arrivo dei militari dell’Arma, la colombiana ha raccontato una versione diversa di quella che ha dato al telefono, ha provato ad addossarsi lei le responsabilità prima di essere colta da malore e trasferita in ospedale. Su suggerimento del proprio legale, avvocata, Federica Tosel, la trentenne colombiana si è avvalsa della facoltà di non rispondere sia nel primo interrogatorio che nell’udienza di convalida del fermo.
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