Hayat Fatimi in pericolo aveva chiamato la polizia: “Mi sta seguendo ho già chiamato altre volte” l’ex era sotto provvedimento restrittivo

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Quella di Hayat Fatimi, è una ulteriore storia di scarsa tutela delle istituzioni nei confronti delle donne che chiedono tutela e protezione da uomini violenti. Hayat lavora in Italia come cuoca, la sua è una storia di inclusione, è di origini marocchine e ha 46 anni. Anni prima ha avuto una relazione con un connazionale, Tariq El Mefedel, un’unione tossica a cui lei ha messo fine, ma l’uomo non si è mai rassegnato e la perseguita, la segue, la minaccia, Hayat se lo ritrova dappertutto fino a quando è costretta a denunciarlo. Sull’uomo viene applicato un provvedimento restrittivo, ma nonostante tutto lui continua a perseguitarla.
Hayat tante volte chiama la polizia per segnalare il comportamento dell’uomo, ma non viene ascoltata, o meglio le sue richieste vengono sottovalutate e nessuno interviene. La donna chiama anche poco prima di essere colpita a morte con una serie di coltellate, chiede aiuto, ripete che non è la prima volta che accade, che ha già chiamato altre volte, ma dall’altra parte del telefono invece di intervenire cercano di rassicurarla. Hayat allora insiste:
“Ho finito di lavorare, il tempo di arrivare a casa e lui sta correndo dietro di me, sta dietro di me. L’ho denunciato, sta arrivando verso di me. Io ho chiamato anche l’altra volta. Ho la minaccia di uno, un ragazzo marocchino come me. Mi seguiva tutti i giorni, però lui ha il divieto che non può entrare a Foggia, mi minacciava sempre. Mo’ tutti i giorni viene vicino casa mia: lo caccio, ma lui viene lo stesso. Mo’ ho finito di lavorare, il tempo di arrivare a casa e lui sta correndo dietro di me, sta dietro di me. L’ho denunciato, mo’ sta arrivando verso di me”
La telefonata si interrompe bruscamente e al poliziotto del centralino non rimane altro che ascoltare le urla della donna mentre viene colpita a morte. Gli agenti finalmente accorrono, dopo aver sottovalutato le richieste per giorni e trovano Hayat in una pozza di sangue, purtroppo c’è poco da fare.
L’arresto del femminicida
Come spesso accade la polizia entra in azione subito dopo il femminicidio. Il marocchino autore del femminicidio viene fermato nei pressi della stazione ferroviaria di Roma, prova a fuggire, ma viene bloccato, indossa ancora gli abiti sporchi di sangue. Nel frattempo si viene a sapere che il marocchino è ricercato, data la sua non osservanza del provvedimento la Procura da dieci giorni ha disposto per lui la custodia cautelare in carcere. Evidentemente tale provvedimento non è bastato per sollecitare la polizia e fermare l’omicida prima che compiesse il suo crimine.
Le minacce alla vittima, la polizia ne era a conoscenza
Per evitare la morte di Hayat non sono bastate una denuncia per atti persecutori depositata il 13 maggio scorso, nonché tutte le minacce di morte subite e di cui la polizia ha contezza: “Io ti amo, se non mi vuoi ti ucciderò, ti faccio finire la tua vita– le aveva promesso- Ti dico solo due parole: o sarai mia e ti comporti bene con me, o ti uccido per noi due. Moriamo tutti e due. Giuro che ti faccio finire la tua vita, giuro. Ci vediamo da Dio”
Minacce che sono continuate anche a giugno, fino a quando il 28 luglio, dieci giorni prima del femminicidio, l’uomo per evitare l’arresto è scappato all’estero. Il 7 agosto Hayat è morta.
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