Sinner, Coppa Davis e Sanremo: il nodo irrisolto tra il tennista e il consenso italiano
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La decisione di Jannik Sinner di saltare la Coppa Davis riaccende il dibattito: tra critiche feroci e difese illustri, l’Italia non perdona le scelte fuori dal campo del suo talento più cristallino, rievocando persino il precedente di Sanremo.
Jannik Sinner, il talento che ha riscritto la storia del tennis italiano, si trova ancora una volta al centro di una tempesta mediatica. Il motivo? Il suo inatteso “no” alla partecipazione alla Coppa Davis di quest’anno.
Una decisione sofferta, motivata dalla necessità di riposo dopo una stagione massacrante e dalla volontà di programmare al meglio il 2026, a partire dagli Australian Open.
Eppure, non appena l’annuncio è stato reso pubblico, il campione altoatesino è stato travolto da un’ondata di critiche, etichettato come “ingrato” e accusato di “scarso attaccamento alla maglia azzurra”.
La Bufera: tra Pietrangeli e il popolo del web
Il trattamento riservato a Sinner è stato, per alcuni, feroce e ingiusto, specialmente se si considera l’abnegazione e i successi che negli ultimi anni hanno visto il tennista portare il tricolore ai vertici mondiali.
Parliamo di due Coppe Davis, il primo posto nella classifica ATP e pagine indelebili scritte a soli 24 anni. Nonostante ciò, il numero 2 al mondo ha dovuto incassare i “commenti velenosi” di ex campioni come Nicola Pietrangeli e subire un vero e proprio “processo” sui social media e su alcune firme del giornalismo tradizionale.
La narrazione ricorrente è quella che trasforma una scelta professionale e personale, volta a tutelare la salute fisica e la carriera, nel tradimento di un idolo popolare.
Sinner, sottolineano i suoi difensori, non è “una bandiera sventolata a comando” o una “macchina sempre pronta a sacrificarsi” incondizionatamente. È un atleta di élite che ha scelto, almeno per una volta, di ascoltare il proprio corpo e gli interessi a lungo termine.
Il precedente di Sanremo: quando tutto è iniziato
Questa “allergia” alle scelte di Sinner non è un fenomeno nuovo. La prima crepa tra il campione e il pubblico generalista risale a due anni fa, in occasione del Festival di Sanremo.
Il suo categorico rifiuto di salire sul palco della kermesse canora fu interpretato da molti come un segno di disinteresse verso il Paese e la sua cultura popolare.
Da quel momento, ogni sua decisione fuori dal campo – dal trasferimento a Montecarlo alla discussione sulla residenza fiscale – è finita sotto la lente d’ingrandimento, alimentando un senso di “disconnessione” con il popolo italiano.
Per i suoi critici, Sinner sembra operare secondo una traiettoria che allontana sistematicamente l’atleta da una connessione “romantica” con la gente, cercando il consenso esclusivamente sul campo di tennis.
Le voci a difesa: da Zoff a Bertolucci, l’elogio del professionismo
Fortunatamente, Sinner non è rimasto solo nel mirino. A difendere la sua scelta sono intervenuti nomi di spicco dello sport.
Il totem del calcio italiano, Dino Zoff, ha espresso comprensione: “Jannik ci porta già onori, gloria e vittorie… ci sta che si possa fermare un attimo, anche perché l’Italia ha un’ottima squadra in Davis”. Zoff ha aggiunto che “il suo gesto verrà capito dai tifosi, visti i risultati che porta agli italiani con tutte le sue vittorie”.
Nel mondo del tennis, l’ex capitano azzurro Paolo Bertolucci ha fornito una lettura lucida e pragmatica: “Nel tennis moderno la Coppa Davis conta sempre meno, è diventata una competizione secondaria”.
Ha sottolineato come la rinuncia di Sinner segua l’esempio di altri grandi campioni e che la priorità nel tennis di oggi è data agli Slam e ai Masters 1000. La sua rinuncia non è la prima, né sarà l’ultima, in un circuito dove a contare è l’ottimizzazione della carriera.
L’atleta professionista vs. l’idolo popolare
La vera questione che divide l’Italia è la difficoltà nell’accettare che un campione, pur amato e celebrato, possa privilegiare i propri interessi professionali e personali rispetto all’aspettativa emotiva e nazionalistica del pubblico.
Sinner, nel suo approccio manageriale e focalizzato al massimo risultato, incarna la figura dell’atleta moderno che non cerca il consenso a tutti i costi.
Il suo “no” alla Davis è una scelta strategica, dettata da una “somma di costi e benefici” volta a preservare la sua carriera. È un gesto che, ancora una volta, sottolinea una verità ineludibile: Sinner è un professionista serio, un essere umano, non un trofeo da esporre.
E la sua storia insegna che il successo vero si costruisce in campo, non sui palchi o assecondando le aspettative nazionalistiche.
